Accertamento induttivo basato sulla presenza di dipendenti “a nero”: legittime le presunzioni ma solo quando si basano su un criterio logico esplicitato.

Alcuni spunti di riflessione interessanti sono presenti nella Ordinanza 12 gennaio 2018, n. 641 della quinta sezione della Corte di Cassazione (Pres. Piccininni, Rel. Fasano).

In particolare la Corte accoglie una specifica eccezione del contribuente che segnalava un difetto motivazionale della sentenza della CTR. Lo schema dell’accertamento era quello (frequente in questi casi) per cui, una volta individuati dei lavoratori non regolari presso l’azienda, si presumevano erogate retribuzioni a nero e realizzati maggiori ricavi.

La società, in giudizio, aveva però prodotto documentazione ed esplicitato le proprie ragioni difensive sul punto. Nella motivazione della sentenza di appello, però si era concluso che “si tratta all’evidenza di lavoro nero si da non potersi presumere che si sia svolto per solo tre giorni mancando la prova, certamente a carico del contribuente, che i lavoratori extracomunitari, abbiano effettivamente lavorato solo per tale brevissimo periodo”.

Secondo la sezione tributaria da tali affermazioni non è desumibile il criterio logico dal quale il giudicante ha tratto il proprio convincimento, atteso che si è omesso di chiarire, alla luce della realtà aziendale, le ragioni di tale valutazione, non illustrando, in alcun modo, gli elementi fattuali e l’iter logico che hanno condotto a ritenere la violazione contestata dotata di quei caratteri di gravità e sufficienza tali da far ritenere l’intera contabilità complessivamente ed essenzialmente inattendibile e giustificare l’accertamento induttivo e quindi gli impugnati atti impositivi.

Altro elemento da sottolineare è il rilievo che la società contribuente ha sollevato in relazione alla catena deduttiva per cui si ha: lavoratore a nero => maggiori costi del personale occulti => maggiori ricavi occulti. Sul punto era stata fatta rilevare la presenza di una doppia presunzione che la Corte risolve affermando che “ questa Corte (Cass. n. 2593 del 2011 e Cass. n. 5731 del 2012) ha avuto occasione di chiarire che non sussiste il divieto di doppia presunzione qualora dal fatto noto costituito dalla presenza di dipendenti non regolarmente assunti (e per i quali emerga la corresponsione di una retribuzione non contabilizzata) si tragga la presunzione di maggiore redditività dell’impresa, trattandosi di una presunzione relativa ex art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, per superare la quale è onere del contribuente offrire la prova contraria”.

Più che dei precedenti giurisprudenziali occorrerebbe disporre degli atti di causa per capire se la derivazione sia biunivoca di primo livello (ovvero dalla presenza del lavoratore “a nero” si desumono sia i maggiori costi che i maggiori ricavi) oppure a catena.

Non è quindi possibile esprimere un parere sul punto che tuttavia segnaliamo per completezza. Nel quadro di una pronunzia che si risolve a favore del contribuente per il predetto vizio motivazionale che deriva dalla mancata esplicitazione in sentenza del criterio logico presuntivo utilizzato e della mancata considerazione delle argomentazioni difensive.