Conferimento di immobile previa stipula di mutuo: la nuova norma antielusiva non modifica le conclusioni?

Facciamo una premessa.

Il nuovo art.10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 211 (Statuto del contribuente), introdotto con d.lgs.128/2015 prevede norme più rigorose per contestare al contribuente operazioni elusive o abusive. In particolare il comma quarto della nuova disposizione stabilisce il criterio per cui Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.

La vicenda sotto esame della Corte di Cassazione, quinta sezione, nella sentenza n. 3533 del 14 settembre 2018 (Pres. De Masi, Rel. Mondini) riguarda proprio un caso di operazione abusiva, secondo l’interpretazione consolidata. Quella di un contribuente che conferisce in società un immobile poco tempo dopo aver stipulato un contratto di mutuo garantito da ipoteca sullo stesso.

In questo modo, conferendo l’attività e la passività, viene ridotta la base imponibile dell’imposta di registro. Ma tale esito impatta con le vecchie regole dell’abuso del diritto quando la norma non era scritta ma derivata direttamente da principi costituzionali. Se la stipula del mutuo non è direttamente collegata al conferimento, dunque, lo scopo dell’operazione è solo quello di ottenere il predetto risparmio fiscale. E quindi la tassazione deve essere fatta sull’attività al lordo e non al netto della passività conferita.

Sin qui niente di nuovo.

Ma la Corte continua affermando a proposito dell’abuso che “ la regola giuridica del cui uso corretto o falso si tratta è quella che, già prima di trovare espresso e generale riconoscimento, definizione e disciplina di natura procedimentale nell’art.10-bis, della legge 27 luglio 2000, n. 211 (Statuto del contribuente), introdotto con d.lgs.128/2015 (articolo inapplicabile al caso di specie ratione temporis), era stata da questa Corte (Cass. Sez. Un. nn. 3055, 3056, 3057 del 2008; Cass. n. 1465 del 2009; Cass. n. 3938 e n. 4603 del 2014) desunta dai principi, posti dall’art. 53 della Costituzione, di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, ed in forza della quale sono vietate ed inopponibili all’ erario le operazioni che pur non contrastando con alcuna specifica disposizione, sono idonee a procurare un vantaggio fiscale e non possono spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta.”

Che vuol dire questo passaggio della motivazione?

Che anche con la nuova regola (non applicabile retroattivamente secondo la Corte) l’operazione rimane abusiva?  Qualche commentatore oggi l’ha scritto.

Nel periodo sopra citato però non si legge, per la verità, questa (pericolosa) conclusione. La continuità tra la precedente elaborazione giurisprudenziale e l’attuale norma antiabuso sembra essere più tematica generale che mirata allo specifico caso. La nuova norma inoltre viene considerata non applicabile alla fattispecie, come detto: perché allora fare l’esegesi di una regola nello specifico non utile a decidere?

Attendiamo quindi gli sviluppi fermo restando che è importante sottolineare ancora che la nuova norma consente tutte le scelte tra opzioni diverse per le operazioni aziendali, anche se percorrendo una strada piuttosto che un’altra si ottiene un risparmio di imposta. Il che non è esattamente coincidente con quello che si affermava in passato.