Credito IVA da dichiarazione omessa. Si pronunciano le Sezioni Unite.

A volte certe vicende tributarie sembrano non avere mai fine.

Parliamo stavolta della questione della utilizzabilità di un credito IVA in caso di dichiarazione omessa. Col conseguente mancato riporto del credito e quindi la sua perduta tracciatura nel sistema dei controlli automatizzati dell’Agenzia delle Entrate.

Dopo un lungo periodo di approccio formale al problema (nel senso di considerare il credito perso o comunque attivabile solo con una procedura di rimborso) da molto tempo ormai la giurisprudenza aveva virato verso una impostazione sostanzialista. Il credito poteva essere portato in compensazione, qualora esistente e documentabile, anche in assenza dell’adempimento dichiarativo. Non secondario il fatto che nel frattempo la normativa partire dal D.Lgs. n. 313 del 1997 fosse cambiata, non prevedendo espressamente la perdita del credito in caso di dichiarazione omessa.

Anche la prassi, con cautela, aveva preso atto di questo orientamento della Corte di legittimità. La stessa Agenzia delle Entrate, prima con la circolare n. 34/E del 6 agosto 2012, poi con la circolare N. 21/E del 25 giugno 2013 aveva riconosciuto questa impostazione.

Nella prima circolare ancora si pretendeva venisse attivata la procedura prevista dall’ultimo periodo del secondo comma art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992, con un ricorso da chiudere poi in conciliazione giudiziale.

Nella seconda si semplificava il procedimento con il riconoscimento del credito in fase di controllo automatizzato (con la procedura del preavviso di irregolarità). Dunque, anziché richiedere l’effettuazione del pagamento seguita da un’istanza di rimborso, si è consentito agli Uffici di “scomputare” direttamente l’importo del credito medesimo dalle somme complessivamente dovute in base alla originaria comunicazione di irregolarità e, conseguentemente, ai sensi del comma 2 dell’articolo 2 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, di emettere una “comunicazione definitiva” contenente la rideterminazione delle somme che residuano da versare a seguito dello scomputo operato.

Fermo restando che sono comunque dovuti gli interessi e la sanzione contestata ai sensi dell’articolo 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 sulla parte di credito effettivamente utilizzata. Con qualche dubbio residuo su una sanzione comminata per omesso versamento a fronte di un versamento non dovuto, una volta che si sia riconosciuto il credito.

Ma, nondimeno, qualche sentenza della Suprema Corte, anche negli anni più recenti ha continuato, con l’inerzia e il “copia-incolla” che notiamo talvolta in giurisprudenza, a seguire l’orientamento più datato, creando una situazione di non completa certezza che il recente filone, più in linea coi principi della Corte UE e con lo Statuto del Contribuente si fosse realmente consolidato.

Finalmente la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che con la Sentenza n. 17757 del 8 settembre 2016 spiegano compiutamente il perché il credito IVA non si possa perdere per l’omissione di un adempimento formale (la dichiarazione) ancorché importante. E che coniugano alla fine il seguente principio di diritto : «La neutralità dell’imposizione armonizzata sui valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta – risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto – sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dai contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili».

E’ una conferma quindi dell’orientamento più recente e, riteniamo, anche indirettamente della prassi ad esso ormai correlata.