I 60 giorni per l’emanazione dell’atto (articolo 12, comma VII dello “Statuto”) vanno conteggiati al momento della firma e non a quello della notifica al contribuente.

L’ordinanza 25 ottobre 2019, n. 27415 della VI Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Mocci, Rel. Gori) ripropone un filone interpretativo della principale norma interna di garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, ovvero dell’articolo 12, comma settimo, della Legge 212/2000.

La norma, ricordiamo, così dispone “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente puo’ comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non puo’ essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Ora, con la sentenza della Corte di Cassazione a SS. UU. n.18184/2013 è stato chiarito che l’inosservanza del termine di 60 giorni per l’emanazione dell’atto impositivo, salvo che ricorrano specifiche ragioni d’urgenza, ne determina l’illegittimità, poiché emesso ante tempus. Tale lettura ha superato anche il vaglio delle Sezioni Unite del 2015, decisamente più restrittive delle precedenti (n. 24283 del 9 dicembre).

A questo punto tra le varie questioni esaminate alla giurisprudenza in relazione alla norma citata, si è posto il problema di quando considerare un atto “emanato”.

Con la sentenza n. 11088/2015, in particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che la violazione della regola a tutela del contraddittorio procedimentale è violata quando l’atto impositivo viene firmato dal funzionario prima della scadenza dei sessanta giorni, indipendentemente, quindi, dal fatto che la notifica sia avvenuta successivamente e a nulla rilevando la mancata produzione di memorie difensive. Invero, “sul piano dei principi generali, come questa Corte ha costantemente ribadito (da ultimo sentt. nn. 654/14 e 5057/15), la notificazione è una mera condizione di efficacia, e non un elemento costitutivo, dell’atto amministrativo di imposizione tributaria cosicché, quando l’atto impositivo viene notificato, o comunque portato a conoscenza del destinatario, esso è già esistente e perfetto, il che significa che è già stato emanato. In secondo luogo perché ancorare il rispetto della prescrizione di cui alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7, al momento in cui l’atto viene sottoscritto, invece che a quello, successivo, in cui esso giunge a conoscenza del contribuente (tramite notifica o in altro modo) appare più rispettoso della ratio della disposizione in esame…”.

L’ordinanza di cui parliamo oggi si ricollega appunto a questo filone oramai consolidato. Per i Giudici di Legittimità “l’atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell’ufficio in data anteriore alla scadenza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, ancorché notificato successivamente alla sua scadenza, è illegittimo, atteso che la norma tende a garantire il contraddittorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni quando l’atto impositivo è ancora “in fieri”, integrando, viceversa la notificazione una mera condizione di efficacia dell’atto amministrativo ormai perfetto e, quindi, già emanato» (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n.17202 del 12/07/2017, Rv. 644932-01; conforme, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20267 del 31/07/2018, Rv. 650151-01);). A tale orientamento va data continuità anche nel caso di specie, non essendovi ragioni per distinguere la presente fattispecie da quelle ivi decise”.