IRAP agenti di commercio: va analizzato il requisito dell’autonoma organizzazione

IRAP agenti di commercio: va analizzato il requisito dell’autonoma organizzazione

A volte è importante leggere una massima che ci riporta ad un autorevolissimo precedente giurisprudenziale rammentandolo a chi, a distanza di tempo, corre il rischio di scordarlo.

E’ il caso della Sentenza 5 ottobre 2016, n. 19899 della quinta sezione della Corte di Cassazione (Pres. Biagio, Rel. Iannello) che evoca principi espressi nella celeberrima sentenza delle Sezioni Unite n. 12108 del 26/05/2009 in tema di IRAP per gli agenti di commercio.

Quell’importantissimo precedente scardinò il principio (che pure era contenuto nella sentenza della Corte Costituzionale che determinò la legittimità costituzionale dell’IRAP, ovvero la n. 156/2001) per cui “mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui” (punto 9.2 della motivazione).

Su questo passaggio motivazionale, mentre la giurisprudenza aprì all’esenzione IRAP per i professionisti privi di autonoma organizzazione, per molti anni si chiuse la porta ad un analogo ragionamento per i piccoli imprenditori, relativamente ai quali, si asseriva, l’elemento organizzativo è essenziale all’attività ed insito in essa.

Nella sentenza del 5 ottobre si rinvia a quanto statuito dalle Sezioni Unite le quali, nella sentenza del 2009, hanno affermato, per un verso, che il giudice delle leggi non definisce quando vi sia “impresa” e, per altro verso, che solo “l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta” (d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma l, secondo periodo), in quanto per le persone fisiche la soggezione all’imposta è subordinata all’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, quindi al suo accertamento in concreto.

Per la V Sezione, la sentenza di appello impugnata dal contribuente, postulando esplicitamente l’irrilevanza di tale accertamento in concreto nel caso di specie, in ragione della ritenuta natura imprenditoriale dell’attività svolta, ha adottato una regula iuris evidentemente difforme e anzi opposta al principio testé esposto ed è quindi incorsa nel denunciato vizio di violazione di legge.