La (abrogata) normativa agevolativa prevista per gli immobili vincolati (L. 413/91) non è costituzionalmente illegittima

La Corte Costituzionale con la Sentenza 111 depositata il 20 maggio 2016 considera ammissibile ma infondata l’eccezione di incostituzionalità sollevata dalla CTR del Lazio per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione con riferimento al diverso trattamento tra immobili vincolati per diretto interesse culturale e immobili soggetti «prescrizioni di tutela indiretta», ai sensi dell’art. 21 della legge 1° giugno 1939, n. 1089.

Infatti una contribuente nel giudizio di appello, esposto l’impegno economico che tale condizione causa per i proprietari degli immobili, aveva chiesto che venisse concesso anche a tale particolare vincolo il beneficio che spetta per le imposte dirette ai proprietari degli immobili vincolati.

La Corte prende atto che la normativa agevolativa di cui si tratta è stata abrogata. Infatti l’art. 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991 è stato abrogato dall’art. 4, comma 5-quater, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44; a sua volta, l’art. 2, comma 5, del d.l. n. 16 del 1993, per l’ICI, è stato abrogato dall’art 4, comma 5-ter, dello stesso d.l. n. 16 del 2012.

Ritiene tuttavia che tale accadimento non incida sul giudizio.

Rifacendosi a precedenti giudizi la Consulta chiarisce che la ratio delle misure fiscali censurate va individuata in una esigenza di equità fiscale, derivante dalla considerazione della minore utilità economica che presentano i beni immobili di interesse storico o artistico in conseguenza del complesso di vincoli e limiti cui la loro proprietà è sottoposta, di modo che «l’applicazione di un beneficio fiscale trova […] il suo fondamento oggettivo proprio nella peculiarità del regime giuridico dei beni di cui si tratta» (sentenza n. 345 del 2003, relativa all’art. 2, comma 5, del d.l. n. 16 del 1993).

Il fondamento del trattamento fiscale più favorevole riservato ai beni di interesse culturale va rinvenuto nella considerazione che la proprietà di tali beni denota una capacità contributiva ridotta, per effetto degli oneri che la normativa di settore impone ai loro titolari. Fra essi spiccano quelli connessi all’obbligo del proprietario di «garantirne la conservazione» (art. 30, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004) e al potere del Ministro competente di «imporre al proprietario […] gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali, ovvero provvedervi direttamente» (art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004).

Anche la soggezione di determinati beni a prescrizioni di tutela indiretta, a protezione dei beni di interesse culturale contigui o prossimi, può fare insorgere, in capo ai loro titolari, vincoli e oneri. Si tratta tuttavia di oneri strutturalmente diversi da quelli che ricadono sul proprietario del bene di diretto interesse culturale. A differenza dei beni vincolati in questo caso oggetto di protezione non è il bene stesso, in sé considerato, ma è il contesto ambientale o di prospettiva nel quale l’immobile di interesse si inserisce, e a garanzia del quale l’amministrazione può imporre, a carico dei beni in esso ricadenti, prescrizioni di vario tipo, “ma non certo assimilabili al generale obbligo conservativo del bene culturale vero e proprio”.

Oltre che nei diversi obblighi positivi di conservazione, la diversità del trattamento legale degli immobili di diretto interesse culturale, si manifesta anche nella subordinazione a regime autorizzativo e di previa denuncia delle principali facoltà di godimento e disposizione dei beni stessi (artt. 21, 48, 50, 51 e da 54 a 62 del d.lgs. n. 42 del 2004), che non trova corrispondenza nel regime dei beni soggetti a prescrizioni di tutela indiretta.

Su queste basi, pertanto, secondo la Corte Costituzionale, la paventata discriminazione non è ravvisabile.