La Cassazione conferma la non tassatività dell’articolo 19 del D.Lgs. 546/92. Impugnabile l’atto di definizione del p.v.c.

Con l’ordinanza n. 4566 del 21 febbraio 2020 la Corte di Cassazione, VI sezione, Civ. (Pres. Greco, Rel. Crolla) si è espressa favorevolmente sulla legittimità dell’impugnazione riservata al contribuente circa l’atto di definizione emesso in seguito all’accoglimento dell’istanza di adesione.

Nei fatti la Corte ha infatti accolto il ricorso presentato da una s.r.l. unipersonale avverso la sentenza pronunciata dalla CTR del Lazio che aveva ritenuto non impugnabile l’atto di adesione a processo verbale di constatazione. La contribuente, secondo le ricostruzioni, aderiva all’invito di definizione (contenuto nel p.v.c. stesso il quale contestava violazioni Irpef, Irap ed Iva) con la riduzione delle sanzioni ad un ottavo dell’importo minimo. Senonché a distanza di oltre tre anni l’Agenzia delle Entrate aveva notificato alla società “l’atto di definizione” con il quale si irrogavano sanzioni pari ad un sesto del minimo (invece che un ottavo) e interessi di mora.

Pur ribadendo, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, l’inammissibilità del ricorso contro l’avviso di accertamento proposto dopo la firma del concordato fiscale e una volta definita l’adesione ai sensi del D.Lgs 218/1997 e del “quantum debeatur”, i Giudici di legittimità hanno comunque riconosciuto al contribuente la possibilità di impugnare “l’atto di definizione” essendo quest’ultimo un atto con cui l’Amministrazione avanza una pretesa nei confronti della contribuente; nella fattispecie, tra l’altro, l’impugnazione era volta far valere la non corrispondenza tra gli importi in esposti in definizione e quelli dovuti per effetto dell’acquiescenza prestata al p.v.c.

La Suprema Corte, nel motivare la decisione, ha inoltre ribadito i seguenti principi giurisprudenziali validi in materia tributaria già espressi in precedenti provvedimenti: nello specifico come “la lettura dell’art. 19 d.lvo nr. 546/1992 si deve interpretare estensivamente identificando tra gli atti impugnabili tutti quelli che, a prescindere dal loro nome, avanzino una pretesa tributaria nei confronti del contribuente” e come “una diversa interpretazione che precluda ogni tipo di sindacato anche quando l’Ufficio formalizzi un atto di definizione contenente contestazioni manifestamente erronee si tradurrebbe in una limitazione dei diritti del contribuente sanciti dall’art 24 Cost”.