La Sentenza n.20005 del 13 ottobre 2020 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bruschetta, Rel. Mucci) torna sulla questione della detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto pagata per lavori su immobili non di proprietà dell’imprenditore. E la Corte ribadisce i principi fissati da Sez. U, 11 maggio 2018, n. 11533 in tema di diritto alla detrazione dell’IVA su immobili di proprietà di terzi utilizzati in locazione per l’attività d’impresa.
Per i Giudici di Legittimità le Sezioni Unite hanno infatti chiarito come in situazioni siffatte debba privilegiarsi il carattere tendenzialmente assoluto del principio di neutralità dell’imposta come costantemente predicato dalla Corte di Giustizia U.E. (Corte di Giustizia 28 febbraio 2018, C-672/16; 14 settembre 2017, C-132/16; 18 luglio 2013, C-124/12; 29 ottobre 2009, C-29/08), con soluzione da recepirsi nell’ordinamento domestico secondo il seguente principio di diritto: «Deve riconoscersi il diritto alla detrazione IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva. E ciò pur se – per cause estranee al contribuente – la predetta attività non abbia poi potuto concretamente esercitarsi».
Tali regole – prosegue la pronuncia delle Sezioni Unite – «appunto permettono di far salvo il fondamentale principio europeo del diritto alla detrazione relativamente a beni che sono comunque strumentali all’attività d’impresa – dalla giurisprudenza unionale da negarsi soltanto in ipotesi del tutto eccezionali – subordinatamente alla riscontrata sussistenza della essenziale condizione del nesso di strumentalità dell’immobile che consenta di evitare a chi è nella sostanza un “consumatore finale” di potersi detrarre l’imposta. Un nesso di strumentalità il quale viene meno soltanto quando l’attività economica anche potenziale cui avrebbe dovuto accedere non sia stata intrapresa per circostanze non estranee al contribuente. E con l’ulteriore aggiunta che la questione all’esame nulla a che fare con fattispecie abusive – o elusive – risolvendosi invece unicamente nello stabilire con un tipico accertamento di fatto se il diritto spetta o non spetta per la rammentata ragione della esistenza o meno della natura strumentale dell’immobile rispetto all’attività economica in concreto svolta o che il contribuente avrebbe potuto svolgere».
La Sezione Tributaria, nel caso specifico, arricchisce il riferimento all’insegnamento testé esposto con il richiamo a Sez. 5, 28 dicembre 2018, n. 33574, secondo cui, dal lato non solo delle imposte indirette ma anche di quelle dirette si afferma che «In tema di detrazione di costi, l’inerenza deve essere valutata secondo un giudizio di carattere qualitativo, e non quantitativo, correlato all’attività di impresa, con la conseguenza che, in tema di IVA, la stessa non può essere esclusa solo in virtù di un giudizio sulla congruità del costo che non condiziona né esclude il diritto alla detrazione, salvo che l’amministrazione finanziaria dimostri la macroscopica antieconomicità della operazione, che costituisce elemento sintomatico dell’assenza di correlazione della stessa con l’esercizio dell’attività imprenditoriale», nonché – nella medesima prospettiva, e con riferimento alle spese detraibili per immobili ad uso abitativo ex art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 – a Sez. 5, 24 settembre 2019, n. 23694, per la quali dette spese sono detraibili «ove ne venga accertata, in concreto, l’inerenza all’attività di impresa attraverso la verifica della sussistenza di un nesso oggettivo tra il bene e l’esercizio dell’attività economica del soggetto passivo, anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica».