La Cassazione su impresa familiare ed IRAP

Come si ricorderà, la sentenza del 10 maggio 2016 n. 9451 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di IRAP (Presidente Mario Cicala, Relatore Antonio Greco) aveva risolto la questione dell’esenzione IRAP nel caso di un solo dipendente con mansioni esecutive  respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e sposando il filone giurisprudenziale più recente, favorevole al contribuente. Tale orientamento, contrapposto in passato a quello più formale, poggia sulla considerazione per cui un unico dipendente non necessariamente debba far ravvisare la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione. Infatti secondo tale orientamento (sposato come detto dalle Sezioni Unite) l’automatica sottopozione ad IRAP del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente, qualsiasi sia la natura del rapporto e qualsiasi siano le mansioni esercitate, vanificherebbe l’affermazione di principio desunto dalla lettera della legge e dal testo costituzionale secondo cui il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito.

Su questa base l’ordinanza 30 agosto 2016 n. 17429 della VI Sezione (Pres. Iacobellis, Rel Iofrida) precisa che le Sezioni Unite hanno fissato il principio per cui “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 – , il cui accertamento spetta al giudice di merito ed e insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente; a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerurmque accidit, minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

Il ricorso per Cassazione è proposto, nel caso specifico, dall’Agenzia delle Entrate che lamenta il fatto che la CTR emiliana non abbia considerato, nel computo del personale, le quote riferibili ai collaboratori familiari, accogliendo parzialmente il ricorso del contribuente.

Secondo la Corte non avendo la CTR, nell’impugnata sentenza, preso in considerazione il fatto controverso rappresentato dalle dette “quote di collaboratori familiari” si ha che, in ordine alla valutazione della presenza, nel caso di specie, di lavoro non occasionale che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore esplicante mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive, la motivazione è insufficiente. La Corte quindi cassa la sentenza di appello con rinvio.

La questione specifica si risolve dunque con un passaggio favorevole all’Agenzia, almeno in attesa della nuova pronuncia del giudice di appello. Ma dimostra il fatto che le conclusioni a cui sono giunte le Sezioni Unite riguardo la presenza di personale con mansioni esecutive sono un elemento da considerare non solo nel mondo dei lavoratori autonomi (la sentenza delle SS.UU. si riferiva infatti ad un avvocato), ma anche in quello delle imprese. Con risultati che potrebbero ampliare la platea dei soggetti esenti.