Legittima la presunzione di distribuzione degli utili anche per i soci della partecipante.

“In attuazione del principio costituzionale di eguaglianza, formale (art. 3 Cost., comma 1) e sostanziale (art. 3 Cost., comma 2), e del principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Cost., comma 1) e del principio, che ne è corollario, del divieto dell’abuso di diritto tributario, la presunzione dell’imputazione degli utili extra bilancio ai soci di una società di capitali K, a ristretta base sociale, opera anche nei confronti dei soci della società di capitali L, che sia socia della società K e che, a sua volta, sia a ristretta base sociale”.

Questo principio di diritto, veicolato da una sentenza di dieci anni fa (Cass 13338/09) viene riaffermato dalla Corte di Cassazione, VI Sezione, nell’Ordinanza 27049 del 23 ottobre 2019 (Pres. Mocci, Rel. Ragonesi).

In sostanza se tra i soci di una società a ristretta base partecipativa figura un’altra società a base sociale ristretta, i soci di quest’ultima saranno soggetti ad identica presunzione di distribuzione dei maggiori utili extracontabili fiscalmente accertati.

Con ciò la Corte cassa la sentenza della CTR che aveva visto nell’estensione a catena della presunzione di distribuzione una doppia presunzione, appunto, inammissibile ai sensi dell’articolo 2727 cc che vieta la praesumptio de praesumpto.

Secondo la Corte ciò che conta è l’affectio familiaris che costituisce il fatto noto da cui derivare ogni possibile distribuzione tra società partecipate fino ad arrivare alle persone fisiche.

Va detto che il principio richiamato suona esso stesso come stantìo, visto che richiama una stagione di facile derivazione di principi “costituzionalmente orientati” in ambito tributario, stagione oggi fortunatamente in considerevole attenuazione, oltre che regole sull’abuso del diritto che è attualmente cosa molto diversa da ciò che era nel 2009. Quindi il richiamo non convince affatto.

Circa la comune radice nel contesto familiare della estensione degli effetti ai soci persone fisiche, va forse osservato che è un criterio per certi aspetti logico, ma che andrebbe usato con prudenza. Nel caso specifico i soci della società partecipante non erano esattamente gli stessi della partecipata, per esempio. La sensazione è che quando si cerchi di confermare, in situazioni via via più critiche, un principio sbagliato in origine, saltino fuori problemi su problemi. E la questione della presunzione a catena, sollevata dalla CTR, appare in questo caso un problema superato con fin troppo slancio dalla sezione filtro della Corte.