Ok ai poteri istruttori del giudice tributario, ma … nei limiti dell’accertato!

Ok ai poteri istruttori del giudice tributario, ma … nei limiti dell’accertato!

Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito” e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, sicché “solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dall’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, di acquisire aliunde i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso” (Cass. n. 13294 del 2016; Cass. n. 24611 del 2014; Cass. n. 11935 del 2012).

Ma tale potere di indagine deve collocarsi, doverosamente, sempre entro i limiti posti dal petitum delle parti, costituenti un limite invalicabile ai poteri cognitivi ed estimativi del giudice tributario. Ciò anche per la connotazione del giudizio come “impugnazione”: il che conferma il vincolo del giudice ai motivi di censura dell’atto impugnato fatti valere dalle parti.

Non è quindi ammesso che il giudice tributario, nel valutare i mezzi di prova di cui dispone, superi i limiti dell’accertamento tracciati dall’amministrazione.

Lo ricorda la quinta sezione della Corte di Cassazione, nella sentenza 28 febbraio 2017, n. 5190.

Nel caso specifico la CTR, nel contesto di una (legittima) valutazione sostitutiva sulla pretesa tributaria, aveva tuttavia ecceduto rettificando il reddito d’impresa in misura superiore a quanto determinato con l’avviso di accertamento, utilizzando delle perizie bancarie di stima di un valore immobiliare. E ciò non è consentito.