Reati tributari: sequestro per equivalente di beni formalmente intestati a terzi solo se viene provata la riferibilità effettiva all’indagato.

La III Sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 167 del 8 gennaio 2018 (Pres. Cavallo, Rel. Mengoni) si occupa di una vicenda nella quale è stato indagato per i reati di cui agli artt. 2 e 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, relativamente ad una frode carosello il legale rappresentante di una s.r.l. e nei suoi confronti è stato disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni, includendo anche taluni immobili intestati formalmente a familiari.

La Corte ricorda come sia del tutto legittimo includere nel provvedimento beni formalmente intestati a terzi. Infatti ciò che rileva è la disponibilità del bene (soprattutto, nei casi di discrasia tra titolarità fittizia e disponibilità reale). Per essa si deve intendere una relazione effettuale con il bene medesimo connotata dall’esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà, ossia di un rapporto uti dominus (tra le altre, Sez. 5, n. 40286 del 27/6/2014, Sez. 2, n. 22153 del 22/02/2013).

Deve tuttavia essere provato che la res, seppur formalmente intestata a terzi estranei al reato, deve comunque ritenersi nella disponibilità dell’indagato: ciò sulla base di elementi specifici e dunque non congetturali (Sez. 3, n. 15210 del 08/03/2012).

Orbene, nel caso specifico rileva la Corte che tutto quanto appena richiamato risulta insufficiente – a giustificare il permanere del vincolo sul bene, non emergendo alcun elemento adeguato dal quale trarre che l’indagato ne manterrebbe una disponibilità uti dominus nei termini anzidetti. Infatti invero, premesso che l’ordinanza non cita alcun dato che attesti un uso materiale dell’immobile da parte dell’indagato.

Sul punto, pertanto, l’ordinanza viene annullata con rinvio.