Corte UE: non è consentito agli stati membri di applicare le sanzioni IVA in modo automatico. Il principio di proporzionalità richiede la modulazione della sanzione in relazione alla specifica situazione di fatto

“L’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, e il principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che pone a carico di un soggetto passivo, che abbia erroneamente qualificato un’operazione esente dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) come operazione soggetta a tale imposta, una sanzione pari al 20% dell’importo della sopravvalutazione dell’importo del rimborso dell’IVA indebitamente reclamato, nei limiti in cui tale sanzione si applica indifferentemente a una situazione in cui l’irregolarità risulta da un errore di valutazione commesso dalle parti dell’operazione quanto alla natura imponibile di quest’ultima, che è caratterizzata dall’assenza di indizi di frode e di perdite di gettito fiscale per l’Erario, e a una situazione in cui non sussistano circostanze particolari di tal genere”.

Lo ha affermato la Corte di Giustizia UE nella Sentenza relativa alla causa C‑935/19 depositata il 15 aprile 2021.

Secondo la Corte «Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera. Gli Stati membri non possono avvalersi della facoltà di cui al primo comma per imporre obblighi di fatturazione supplementari rispetto a quelli previsti al capo 3».

Nel caso specifico, per quanto riguarda l’articolo 273 della direttiva IVA, il giudice del rinvio aveva rilevato che l’applicazione automatica, imposta dalla legge nazionale, della sanzione amministrativa di cui trattasi in tutti i casi di sottovalutazione dell’IVA o di sopravvalutazione dell’importo del rimborso dell’IVA sarebbe una misura inidonea alla realizzazione dell’obiettivo della lotta contro i reati fiscali di cui a tale articolo, ed eccederebbe quanto necessario a tal fine. Quindi con la sua questione, il giudice del rinvio aveva chiesto, in sostanza, se l’articolo 273 della direttiva IVA nonché i principi di proporzionalità e di neutralità dell’IVA debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che pone a carico di un soggetto passivo, che abbia erroneamente qualificato un’operazione esente da IVA come operazione soggetta a tale imposta, una sanzione fissa (pari, secondo la normativa polacca, al 20% dell’importo del rimborso dell’IVA indebitamente reclamato), senza tenere conto della natura e della gravità dell’irregolarità che vizia la dichiarazione fiscale, dell’assenza di indizi secondo cui tale errore costituisca una frode e dell’assenza di perdite di gettito fiscale per l’Erario.

La Corte osserva al riguardo che ai sensi dell’articolo 273 della direttiva IVA gli Stati membri hanno la facoltà di adottare misure al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e di evitare le evasioni. In particolare, in assenza di disposizioni del diritto dell’Unione a tale proposito, gli Stati membri sono competenti a scegliere le sanzioni che sembrino loro appropriate in caso di inosservanza delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione per l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA (sentenza dell’8 maggio 2019, EN.SA., C 712/17, EU:C:2019:374, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

Essi sono tuttavia tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità (v. sentenza del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

Pertanto le sanzioni non devono eccedere quanto necessario al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta e di evitare la frode. Al fine di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a reprimere, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa (sentenza del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 60).

Nel caso sottoposto ai Giudici eurounitari, dalle spiegazioni fornite alla Corte dal giudice del rinvio, emerge che l’irregolarità di cui al procedimento principale deriva da un errore di valutazione commesso dalle parti dell’operazione quanto alla natura imponibile di quest’ultima, in quanto tali parti hanno considerato che una cessione di fabbricato in questione fosse assoggettata all’IVA, laddove non avevano presentato la dichiarazione concordante, richiesta dalla normativa nazionale, con la quale esse optavano per l’imposizione di tale cessione. Inoltre, dalle constatazioni del giudice del rinvio risulta che la sanzione prevista si applica indifferentemente a una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, generata da un errore di valutazione commesso dalle parti dell’operazione quanto alla natura imponibile di quest’ultima, situazione che è caratterizzata dall’assenza di indizi di frode e che non ha dato luogo ad alcuna perdita di gettito fiscale, e a una situazione in cui non sussistano tali circostanze particolari che, secondo tale giudice, meritino di essere prese in considerazione.

Pertanto secondo i Giudici di Lussemburgo tali modalità di determinazione non hanno consentito alle autorità tributarie di adeguare l’importo della sanzione in funzione delle circostanze concrete del caso. Quindi le modalità di determinazione di detta sanzione, applicata in modo automatico, non consentono alle autorità fiscali di individualizzare la sanzione inflitta, al fine di assicurarsi che quest’ultima non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e nell’evitare l’evasione.

Da ultimo, per quanto sopra considerato, la Corte ritiene che in tali circostanze, non sia neppure necessario esaminare la normativa di cui trattasi nel procedimento principale alla luce del principio di neutralità dell’IVA.

I principi enunciati sono particolarmente importanti anche in chiave interna, laddove si prevedano sanzioni automatiche IVA. In ambito di sanzioni tributarie, infatti, una previsione di proporzione tra sanzione e comportamento esiste infatti fin dalla riforma del 1997 (addirittura nella legge delega 23 dicembre 1996, n. 662), ma l’irrogazione avviene ancora il più delle volte con modalità informatiche e senza alcun riferimento alla situazione di fatto. Lo spunto diviene pertanto significativo per molti aspetti, ivi incluso il particolare momento nella vita delle imprese e le possibili violazioni connesse ai versamenti, con riflessi sì dal lato della “forza maggiore”, riflessi che comunque una maggior attenzione in generale alla situazione specifica nella irrogazione delle sanzioni potrebbe fortemente far diversamente considerare.