La vicenda decisa dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con l’ Ordinanza 30 giugno 2021, n. 18468 (Pres. De Masi, Rel. Pepe) ha un interesse limitato alla vicenda e ad alcuni semplici riferimenti interpretativi in esso contenuti, ma, se analizzata nei vari passaggi porta a diverse riflessioni più ampie, su cui forse torneremo al momento di mettere in rete la rivista.
La questione esaminata dalla Corte , in poche parole, è la seguente. Una società, ricevuta una cartella di pagamento, ne aveva ottenuto lo sgravio parziale. Non del tutto soddisfatta la contribuente ha chiesto lo sgravio totale della cartella, la quale nel frattempo è divenuta definitiva. Successivamente l’Amministrazione ha inviato un’intimazione di pagamento che è stata impugnata.
La CTR aveva ritenuto inammissibile l’impugnazione dato che il primo atto della riscossione era divenuto definitivo. Nel ricorso per cassazione la società eccepisce tra l’altro violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, lett. e) e comma 3 del d.p.r. n. 546 del 1992 anche con riferimento all’art. 47 del medesimo decreto, lamentando che, diversamente da quanto affermato dalla CTR, la contribuente aveva impugnato l’intimazione di pagamento per vizi propri di tale atto «in quanto l’interesse a proporre impugnazione è sorto nel momento in cui, attraverso la notifica di esso, il contribuente ha avuto conoscenza giuridica dello sgravio parziale della cartella esattoriale».
La Corte ricorda che la precedente disciplina sulla riscossione esattoriale (abrogata a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46) prevedeva che l’allora concessionario, prima di esercitare l’azione esecutiva per il recupero coattivo delle somme nei confronti del contribuente che non adempieva spontaneamente all’obbligazione tributaria, dovesse notificare al debitore un avviso, denominato avviso di mora, contenente l’indicazione dell’importo iscritto a ruolo e delle causali del debito, con l’invito a pagare entro cinque giorni l’importo dovuto.
Nel predetto sistema, quindi, la funzione della cartella esattoriale era semplicemente limitata a quella di rappresentazione cartacea del titolo esecutivo costituito dal ruolo. L’avviso di mora assolveva a due funzioni: la prima, equivalente a quella del precetto ed avente carattere necessario, consistente nell’accertare il mancato pagamento del debito tributario e nell’intimare al contribuente l’effettuazione del versamento dovuto entro un termine ristretto, con l’avvertenza che in mancanza si sarebbe proceduto ad esecuzione forzata. La seconda, eventuale, di natura sostanziale, consistente nel portare a conoscenza del contribuente, per la prima volta, la pretesa erariale, ove l’avviso di mora non fosse stato preceduto dalla regolare notifica dell’avviso di accertamento o di liquidazione o della cartella esattoriale.
La nuova disciplina ha attribuito alla cartella esattoriale anche la funzione di intimazione all’adempimento dell’obbligazione tributaria. È stato dunque soppresso il sopra menzionato avviso di mora ed è stata introdotta la intimazione di pagamento, disciplinata dall’art. 50 cit.
Dunque, ferma restando, in linea di principio, l’ammissibilità di una lettura estensiva e non tassativa del novero degli atti impugnabili ex art. 19 d.P.R. n. 546 de 1992, “va riaffermato il principio secondo cui l’intimazione di pagamento riferita ad una cartella di pagamento notificata e non impugnata può essere contestata solo per vizi propri e non già per vizi suscettibili di rendere nullo od annullabile la cartella di pagamento presupposta” (cfr. Cass. n. 3743 del 2020).
Da qui si potrebbe partire per qualche riflessione. Poche settimane fa la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (10012/2021) aveva affermato: “«In materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poiché tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dall’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa» (v. ex pluribus, da ultimo, Cass., 1144/2018, in consolidamento di Cass., Sez U., 5791/2008).
Allora facciamo l’ipotesi che l’esattore non notifichi o non notifichi correttamente la cartella. Perché come si è visto la cartella oggi ha la doppia funzione di rappresentazione cartacea del titolo esecutivo costituito dal ruolo e di intimazione all’adempimento dell’obbligazione tributaria. Se è vero che il contribuente che non impugna la cartella perde il diritto a impugnare qualunque successivo atto della riscossione, deve essere vero anche il contrario. Ovvero che l’Amministrazione che non notifichi, o notifichi in modo errato la cartella perde il diritto ad esigere. Il contribuente potrà dunque impugnare qualunque atto della riscossione, facendo valere il vizio iniziale. Almeno se sono ancora validi i principi di parità delle parti e del giusto processo (artt. 3 e 111 Cost.).
Ci riserviamo sul punto qualche ulteriore riflessione.