Il Giudice Tributario ha l’obbligo di considerare le risultanze del processo penale quanto ai fatti accertati

I rapporti tra giudizio tributario e penale tributario relativamente agli stessi fatti sono da sempre oggetto di dubbi e ogni soluzione interpretativa non ha mai forse pienamente convinto.

Prima della riforma del sistema sanzionatorio penale in ambito tributario (l. n. 516/1982), era in vigore la c.d. pregiudiziale tributaria, in base alla quale, proprio per evitare contrasti di giudicati, il processo penale non poteva aver luogo fino alla conclusione del contenzioso tributario. In seguito, con la abrogazione della predetta pregiudiziale e con l’articolo 3 della Legge “Manette agli evasori”, oggi abrogato, che prevedeva che il processo tributario non potesse essere sospeso in attesa della decisione del giudice penale, si è inaugurata la stagione del “doppio binario”. Confermato anche dal D.Lgs. n. 74/2000 per cui “il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi atti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”.

In realtà da parte della giurisprudenza più volte si è cercato negli anni di evitare che i due processi, per quanto fondati su mezzi istruttori e su prove diverse, possano dare risultati diametralmente opposti.

L’Ordinanza 22 settembre 2021 n. 25632 della Sezione Tributaria (Pres. Cirillo, Rel. Di Marzio) si colloca proprio su questo filone, respingendo un ricorso dell’Agenzia delle Entrate che contestava il fatto che i Giudici della Commissione Tributaria Centrale, nel caso specifico, avessero accolto come prova le risultanze dell’omologo giudizio penale.

La Corte tratta tutti i motivi di ricorso, appunto, in maniera congiunta, perché tutti attengono al rilievo da assegnare, nel processo tributario, al giudicato penale sopravvenuto in corso di causa.

Preliminarmente secondo la Corte “l’eccezione di giudicato esterno non è soggetta a preclusioni per quanto riguarda la sua allegazione in sede di merito in quanto prescinde da qualsiasi volontà dispositiva della parte e in considerazione del suo rilievo pubblicistico, è rilevabile d’ufficio. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione di appello che nel giudizio civile di risarcimento del danno aveva ritenuto l’allegazione della sentenza penale di condanna non subordinata a decadenze e preclusioni istruttorie, potendo essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito)”, Cass. sez. VI-III, 7.1.2021, n. 48. Infatti “il giudicato esterno, al pari di quello interno, risponde alla finalità d’interesse pubblico di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche e di rendere stabili le decisioni, sicché il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti e non è subordinato ai limiti fissati dall’art. 345 c.p.c. per le prove nuove in appello, di tal che il giudice, al quale ne risulti l’esistenza, non è vincolato dalla posizione assunta dalle parti in giudizio, dovendo procedere al suo rilievo e valutazione anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo”, Cass. sez. II, 25.10.2018, n. 27161.

Deve pertanto negarsi che la produzione di una sentenza penale irrevocabile prodotta dalla parte sia soggetta a preclusioni processuali, potendo la stessa essere acquisita, ed utilizzata per la decisione, anche d’ufficio. Del resto, apparirebbe davvero improprio richiedere alla parte di anticipare le proprie difese in relazione ad una sentenza penale che non è ancora stata pronunciata.

Dopo questa premessa i Giudici di Legittimità ricordano come l’accertamento di fatto, effettuato in sede penale, vincola il giudice civile. Occorre quindi osservare che il giudice impugnato opera esplicito riferimento, a fondamento della propria decisione, alla valutazione ed alla motivazione adottata dai giudici della Commissione Tributaria di secondo grado, ed è consentito proporre una motivazione per relationem rispetto ad atti di cui le parti abbiano sicura conoscenza.

I giudici di secondo grado hanno infatti osservato che “i fatti contestati dalla Guardia di Finanza e le relative risultanze del verbale di costatazione … sono i medesimi su cui si è pronunciato il giudice penale co formula assolutiva ‘perché il fatto non sussiste’, non si può non ritenere l’autorità di cosa giudicata, di detta sentenza irrevocabile del Trib. di Bolzano n. 672/1991 nei confronti del processo tributario”. Non ci troviamo pertanto in presenza di una “automatica” ed acritica estensione del giudicato penale, bensì della esplicita valutazione, operata dalla Commissione Tributaria di secondo grado e confermata dalla Commissione Tributaria Centrale, che i fatti in ordine ai quali si è pronunciato il giudice penale, con sentenza irrevocabile, sono i medesimi su cui si controverte in sede tributaria. Non si confronta con questa specifica ratio decidendi l’Agenzia delle Entrate, non ne critica il fondamento, non illustra come abbia contestato e provato che i fatti su cui si sono fondati gli accertamenti, penale e tributario, non sono gli stessi.