“In tema d’imposta di successione, gli errori commessi dal contribuente nella dichiarazione sono in ogni caso emendabili, sia in virtù del principio generale secondo cui la dichiarazione non ha valore confessorio e non è fonte dell’obbligazione tributaria, sia in virtù dei principi costituzionali di capacità contributiva e buona amministrazione, nonché di collaborazione e buona fede che devono improntare i rapporti tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente” questo il principio di diritto ribadito con ordinanza n. 13817 del 20 maggio 2021 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Chindemi, Rel. De Masi).
Nei fatti alcuni contribuenti proponevano ricorso avverso l’avviso contenente la rettifica dei valori di diversi appezzamenti di terreno compresi fra i cespiti formanti l’asse ereditario. La CTP di Cosenza accoglieva il ricorso ed annullava l’avviso impugnato; mentre la CTR della Calabria, riformando la sentenza di primo grado, confermava la legittimità formale e sostanziale dell’operato dell’ente impositore. Da qui il ricorso per Cassazione dei contribuenti con il quale, tra gli altri motivi, lamentavano l’omessa valutazione di un fatto decisivo riguardante il rimborso dell’imposta di successione (riconosciuto dalla CTP) per due terreni erroneamente inseriti nella dichiarazione di successione, in quanto alienati in epoca antecedente l’apertura della successione stessa.
La Corte, accolto il ricorso in virtù del suesposto principio, ha ricordato come alla correzione della dichiarazione di successione “non osta né l’intervenuta scadenza del termine per la presentazione della denunzia di successione, che non ha natura decadenziale, né l’art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 346 del 1990, che concerne le modifiche da apportare agli elementi oggettivi e soggettivi della dichiarazione, né l’eventuale notifica di un avviso di liquidazione, riflettendosi tale circostanza solo sul regime dell’onere della prova in giudizio” (Cass. n. 13595/2018; Cass. n. 32832/2018; Cass. n. 2229/2015). Con ciò confutando quanto sostenuto nella sentenza impugnata con la quale il giudice di appello aveva escluso il diritto al rimborso dei contribuenti in ragione del fatto della mancata presentazione della dichiarazione emendativa.
Come ribadito dalla Corte secondo gli artt. 3 e 53 Cost., la “capacità contributiva” deve costituire l’unico parametro di riferimento effettivo: il suo senso concreto, quindi, impone di escludere qualsiasi interpretazione da cui possa derivare la soggezione del contribuente ad un prelievo fiscale maggiore o minore di (comunque diverso da) quello effettivamente voluto dal legislatore. Ciò in linea con quanto affermato a più riprese dalla Consulta, ovvero che “la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese esige … l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo a un effettivo indice di ricchezza” (Corte Cost., Ord. n. 394/2008; Cass. n. 7652/2018; n. 14989/2018).
I Giudici di Legittimità non potendo considerarsi precluso l’esercizio della facoltà di correzione (venendo essa ad operare, nel caso di specie, in sede contenziosa, con onere della prova a carico dei contribuenti) dell’errore di fatto commesso nella dichiarazione di successione, hanno pertanto cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla medesima CTR, in diversa composizione, per nuovo esame, sul punto, della controversia, e per la regolamentazione delle spese processuali.