Indennità supplettiva di clientela a favore dell’agente: deducibile per competenza in ossequio all’art. 105 TUIR e al principio di prudenza

Una delle componenti della liquidazione dovuta all’agente di commercio in caso di cessazione del rapporto è l’idennità supplettiva di clientela. Infatti, se il contratto di scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’Agente, sarà corrisposta direttamente dalla preponente all’Agente in aggiunta all’indennità di risoluzione del rapporto (F.I.R.R.). L’indennità supplettiva viene conteggiata sull’ammontare globale delle provvigioni per le quali è sorto il diritto al pagamento per tutta la durata del rapporto. Adesso si applicano le percentuali seguenti:

  1. 3% sulle provvigioni maturate nei primi tre anni di durata del rapporto di agenzia;
  2. 3,50% sulle provvigioni maturate dal quarto al sesto anno compiuto;
  3. 4% sulle provvigioni maturate negli anni successivi.

L’indennità de qua sarà altresì corrisposta – sempre che il rapporto sia in atto da almeno un anno – in caso di dimissioni dell’agente dovute a circostanze particolarmente gravi (morte, infermità…) o in caso di conseguimento di pensione di vecchiaia.

Così configurata dunque l’indennità rappresenta una erogazione che non sempre deve essere corrisposta, ma prudenzialmente l’accantonamento all’apposito fondo va fatto anno. L’OIC 31 infatti prevede che gli accantonamenti al fondo siano iscritti nella voce B1 del passivo, in misura coerente al periodo di maturazione. Conseguentemente nel passivo di stato patrimoniale viene stanziato un fondo per l’importo, previsto per tale indennità e maturato alla data di bilancio, determinato anche in base a stime, tenendo conto altresì dei dati storici della società. Nel conto economico gli accantonamenti ai fondi per indennità suppletiva di clientela sono iscritti alla voce B7 “per servizi”).

Nella vicenda giudiziaria decisa dalla Corte di Cassazione la Commissione provinciale, con riferimento alla deducibilità nell’anno 2005 dell’accantonamento dei costi per indennità suppletiva di clientela (€ 100.926,54), aveva ritenuto che il costo era deducibile di anno in anno, per il principio di competenza, trattandosi di accantonamenti rientranti tra quelli di cui all’art. 105, quarto comma, d.P.R. n. 917 del 1986, e non esclusivamente nell’anno in cui il costo sarebbe divenuto certo.

Il giudice d’appello, invece, evidenziava che l’indennità suppletiva di clientela risultava indefinita sia nell’importo e sia nell’anno di verificazione, non potendo essere dedotta, ai sensi dell’art. 70 del d.P.R. n. 916 del 1986 (ora 105 TUIR), nell’anno 2005, ma soltanto nell’anno in cui fosse venuta ad esistenza. Con riferimento all’appello incidentale proposto dalla società, in ordine alla richiesta di annullamento delle sanzioni, il giudice del gravame si limitava ad una decisione di rigetto.

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con l’ Ordinanza 28 giugno 2021, n. 18360 (Pres. Cirillo, Rel. D’Orazio), accogliendo il ricorso della società, statuisce che la disciplina fiscale dell’indennità suppletiva di clientela degli agenti di commercio va ricondotta al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70, comma 1, (ora art. 105, comma 1, Tuir), il quale prevede la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell’art. 2117 del codice civile, se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti”, nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni “legislative e contrattuali”, ed al successivo comma 3 (ora comma 4 dell’art. 105 Tuir) estende tale regime anche agli “accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui alle lettere e), d) ed f) del comma 1 dell’art. 16 (ora art. 17, nuovo Tuir), tra le quali rientra (lett. d) la voce indennità per la cessazione di rapporti di Agenzia delle persone fisiche”.

Deve aggiungersi che gli accantonamenti a fondi vengono stanziati ai fini di una corretta determinazione del risultato dell’esercizio in base al principio di prudenza, che impone di tenere conto di tutti i rischi prevedibili e delle eventuali perdite che traggono origine nel corso dell’esercizio; vanno distinti, dunque, dagli accantonamenti di utili, che, invece, non concorrono alla formazione del risultato di esercizio, ma vengono effettuati solo dopo aver acquisito il risultato, rappresentando una modalità di impiego dello stesso ed avendo come contropartita la costituzione o l’incremento di “riserve”.