Raddoppio dei termini di accertamento: la Suprema Corte ricorda i principi

Niente di particolarmente innovativo nella Ordinanza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione 1° giugno 2021, n. 15214 (Pres. Crucitti, Rel. Condello), ma una revisione dei principi fondamentali affermati negli anni dalla giurisprudenza in materia di raddoppio dei termini di accertamento previsti dall’art. 43, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1973 (ndr art. 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972), anche in virtù della sentenza n. 247 del 2011 della Corte Costituzionale.

Si tratta, lo ricordiamo brevissimamente, dell’automatico raddoppio dei termini predetti in presenza di una speciale condizione obiettiva – ossia l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000.

La Corte ricorda al riguardo che:

1) il raddoppio deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., indipendentemente dalla presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, risultando dunque irrilevante che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (Cass., sez. 5, 9/08/2016, n. 16728);

2) il giudice tributario deve controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione dell’atto impositivo o di contestazione delle sanzioni, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo una valutazione ora per allora (cd. «prognosi postuma>>) circa la loro ricorrenza, accertando se l’amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento;

3) in presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare i presupposti dell’obbligo di denuncia penale (e non dell’esistenza del reato) è a carico dell’amministrazione finanziaria (in senso conforme, tra le altre, Cass., sez. 6-5, 14/05/2018, n. 11620; Cass., sez. 5, 13/09/2018, n. 22337; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27629; Cass., sez. 5, 2/07/2020, n. 13481)

4) operando i termini raddoppiati in presenza di violazioni tributarie per le quali vi è obbligo di denuncia, è del tutto irrilevante che detto obbligo possa insorgere anche dopo il decorso di un periodo pari a quello del termine <<breve>> o possa non essere adempiuto entro tale termine, perché ciò che rileva è solo la sussistenza dell’obbligo di denuncia

5) il raddoppio dei termini non può, tuttavia, trovare applicazione con riferimento all’Irap, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass., sez. 6-5, 14/05/2018, n. 11620; Cass., sez. 6-5, 3/05/2018, n. 10483; Cass., sez. 6-5, 11/04/2017, n. 9322).

Nel caso specifico secondo la Corte la CTR aveva errato (per quanto già visto al punto 4), ritenendo necessario che il termine ordinario di decadenza non fosse maturato, ma fosse ancora in corso, “essendo altrimenti i contribuenti esposti alla possibilità di essere sottoposti ad accertamento anche a distanza di molti anni dalla scadenza del termine ordinario dei quattro anni dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi o dei cinque anni da quella in cui la dichiarazione era stata presentata”

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate viene pertanto accolto, ma solo con riferimento all’IRES e all’IVA, non per ciò che riguarda l’IRAP (come esposto al punto 5).