La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nell’Ordinanza 19 luglio 2021, n. 20583 (Pres. Bruschetta, Rel. Saija) risolve, dichiarando l’illegittimità del ricorso da parte dell’Agenzia delle Entrate, una questione particolare relativamente al recupero di agevolazioni prima casa, dimostrando ancora una volta l’enorme ventaglio di casi pratici che si possono determinare in relazione a un beneficio che dovrebbe essere semplice e fruibile a tutti coloro che intendono acquistare una prima casa di proprietà e che invece genera un enorme contenzioso.
Il Giudice di merito aveva infatti, nel caso specifico, ritenuto la dichiarazione della contribuente di voler trasferire la propria residenza nell’immobile di cui aveva acquisito la nuda proprietà costituiva una condizione risolutiva impossibile, ex art. 1354 c.c., come tale da considerarsi non apposta, giacché in detto immobile erano già residenti i genitori usufruttuari.
In secondo luogo, nei gradi di merito si era considerata detta dichiarazione, peraltro resa in atto rogato da uno specialista quale è il notaio, come frutto di errore scusabile, perché riconoscibile, nella sostanza intendendo la contribuente godere della condizione agevolativa effettivamente sussistente, ossia il prestare attività lavorativa, già all’atto del rogito, nel Comune.
Il ricorso dell’Agenzia si fondava invece sulla lettera della norma per la quale la condizione apposta nell’atto non si poteva intendere realizzata.
Secondo la Corte, la C.T.R. ha ritenuto che la contribuente, sin dalla stipula dell’atto pubblico, intendesse fruire della condizione agevolativa dell’esercizio dell’attività lavorativa nel comune, anziché di quella sulla residenza. Che quindi la prima dichiarazione fosse emendabile (alla stregua, cioè, di un atto volontario cui la legge ricollega i propri effetti – v. ad es., Cass. n. 14947/2018) e che l’Agenzia, prima di rettificare l’imposizione, avrebbe dovuto attivare il contraddittorio in sede amministrativa.
Si tratta di profili che non risultano minimamente attinti dalla censura dell’Agenzia delle Entrate, che si muove esclusivamente nella cennata prospettiva dell’accertamento sostitutivo ex post, senza però cogliere il nucleo della decisione impugnata, la cui correttezza in iure non può dunque essere esaminata dalla Cassazione.