Erronea applicazione del meccanismo del “Reverse Charge”: in assenza di intento fraudolento trova applicazione la sola sanzione formale in misura fissa definibile in ravvedimento

Con risposta ad interpello n. 301 del 28 aprile 2021 l’Agenzia ha fatto chiarezza in merito al regime sanzionatorio previsto per la fattispecie di errata applicazione del c.d. meccanismo del “reverse charge”.

Nei fatti l’Istante, una società di diritto lussemburghese identificata in Italia ai sensi dell’articolo 35-ter del DPR 633/1972 operante nel settore del commercio all’ingrosso di beni ad uso industriale, rappresentava all’Ufficio di aver applicato nei confronti di soggetti passivi non stabiliti e senza stabile organizzazione in Italia un regime IVA errato con riguardo alle cessioni territorialmente rilevanti in Italia ex articolo 7-bis del decreto IVA, emettendo fattura dalla propria partita IVA lussemburghese sul presupposto che i clienti avrebbero assolto l’imposta ex articolo 17, commi 2 e 3, del decreto IVA. Ciò a causa di imprecise informazioni fornite dai propri clienti non residenti, con i quali l’Istante aveva operato negli anni precedenti attraverso le loro stabili organizzazioni in Italia non più in essere però dal 2016. L’istante (tenuto conto che l’errore commesso, a suo avviso, non avesse cagionato danno all’erario, essendo stata l’IVA assolta dai cessionari mediante il meccanismo del “reverse charge”) chiedeva dunque come regolarizzare la propria posizione fiscale in Italia ai fini IVA attraverso l’istituto del ravvedimento operoso: in particolare se non fosse dovuto il versamento dell’IVA (in quanto già assolta dai cessionari) e se per l’errata fatturazione fosse applicabile la sola sanzione formale prevista in misura fissa da 250 a 10.000 euro.

L’Agenzia, prendendo spunto dalla risoluzione n. 28/E del 28 marzo 2012, ha dapprima riepilogato come, in base al disposto del terzo comma dell’articolo 17 del DPR IVA, l’estensione del meccanismo dell’inversione contabile non trova applicazione nel caso in cui le cessioni di beni o le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, siano effettuate da un soggetto passivo non residente e privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato nei confronti di cessionari o committenti soggetti passivi che siano anch’essi stabiliti fuori del territorio dello Stato; in tal caso, torna infatti di norma applicabile la regola generale di cui al primo comma dell’articolo 17 del DPR IVA che individua il debitore dell’imposta nel cedente o prestatore.

Come dunque ricordato dall’Ufficio quando le operazioni domestiche intercorrono tra soggetti non stabiliti ai fini IVA in Italia, né quivi in possesso di una stabile organizzazione, il fornitore deve emettere fattura con IVA utilizzando la partita IVA italiana (acquisita mediante identificazione diretta ovvero attraverso un rappresentante fiscale). Nel caso di specie l’istante avrebbe pertanto dovuto fatturare le cessioni domestiche di beni destinati a soggetti non stabiliti in Italia utilizzando la propria posizione IVA italiana, ed addebitando l’IVA in fattura secondo le regole ordinarie.

Con riferimento alle violazioni consistenti nell’erroneo assolvimento dell’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile, l’Agenzia, precisando come tale aspetto fosse già stato chiarito con la circolare n. 16/E dell’11 maggio 2017 e riprendendo quanto disposto dall’articolo 6, comma 9- bis.2, del decreto legislativo n. 471/1997, ha ribadito che qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile, l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro (ad esclusione dei casi in cui l’applicazione dell’imposta mediante il meccanismo dell’inversione sia stata determinata da un intento evasivo o fraudolento consapevole per i quali tornano in essere le sanzioni ordinarie).

L’Ufficio, tenuto conto nel caso prospettato che a) l’istante fosse caduto in errore a causa di imprecise informazioni fornite dai propri clienti e b) l’IVA fosse stata effettivamente assolta mediante applicazione del reverse charge (situazione riconducibile alla violazione cui si applica la sanzione di cui all’articolo 6, comma 9-bis.2), ricordando che la violazione, concernente l’irregolare assolvimento dell’IVA a causa dell’erronea applicazione del regime dell’inversione contabile, si realizzi di fatto quando viene operata la liquidazione mensile o trimestrale (poiché è in tale sede che il cedente ed il cessionario procedono erroneamente alla determinazione dell’imposta relativa alle operazioni attive da assolvere) ha dunque reso il proprio parere stabilendo come fosse dovuta dall’istante la sanzione (definibile in ravvedimento) compresa tra 250 euro e 10.000 euro in base a ciascuna liquidazione e con riferimento a ciascun committente.