Litisconsorzio necessario nel processo tributario: non riguarda cause tra loro connesse solo oggettivamente, qualora siano scindibili, non esistendo tra esse un rapporto di dipendenza

«L’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti (art. 331c.p.c.), nel qual caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta dal solo fatto che tutte le parti sono state presenti nel giudizio di primo grado. Ne consegue che, in entrambe le ipotesi, la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.» (Cass. 08/11/2017, n. 26433).

Lo ricorda l’ordinanza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione n. 11165 depositata in data 28 aprile 2021.

Tuttavia la Corte non accoglie il motivo proposto dalla ricorrente che aveva denunciato la nullità della sentenza in quanto il processo d’appello si era svolto senza che l’Agenzia avesse notificato l’atto di appello al concessionario della riscossione (quale litisconsorte processuale necessario, che aveva partecipato al giudizio di primo grado poiché, con il ricorso introduttivo, erano stati eccepiti (anche) vizi propri della cartella, ascrivibili all’Agente della riscossione

In sostanza si applicherebbe nel caso specifico non l’articolo 331 del c.p.c. ma l’articolo 332 che, diversamente dalla norma che precede, la quale si occupa delle cause inscindibili, disciplina le cause scindibili.

Si definiscono tali quelle cause che, pur essendosi svolte cumulativamente in primo grado, quindi decise con un’unica sentenza, possono essere separate in appello, poiché il cumulo in primo grado era determinato da una connessione oggettiva, senza che fosse ravvisabile un rapporto di dipendenza.

Nelle cause scindibili quindi si ha una pluralità di rapporti giuridici autonomi e separabili, nonostante in primo grado siano stati uniti in un unico giudizio.

Nel caso esaminato dalla Corte la contribuente aveva impugnato la cartella per vizi di forma e per l’infondatezza della pretesa impositiva, ed era risultata totalmente vittoriosa in primo grado in quanto, «La Commissione [n.d.r.: provinciale] accoglieva il ricorso ritenendo corretta la cartella esattoriale opposta sul piano formale, mentre riteneva la stessa illegittima circa l’applicazione della sanzione prevista da una legge successiva alla sua infrazione». Dato che la parte privata (vittoriosa in primo grado) non aveva interposto appello contro il capo di sentenza della Commissione provinciale a sé sfavorevole, e trattandosi di cause scindibili, nel senso che il rapporto processuale tra la contribuente e l’ufficio era distinto ed autonomo rispetto al rapporto processuale tra la parte privata e il concessionario della riscossione, non era affatto necessario che l’A.F. (unica parte soccombente in primo grado) integrasse il contraddittorio, nel giudizio d’appello, anche nei confronti del concessionario della riscossione, verso la quale ovviamente non avanzava alcuna pretesa.