Imposta di registro in misura fissa per la sentenza di accoglimento della domanda revocatoria fallimentare di un contratto di compravendita immobiliare anche quando comportante la restituzione di denaro o beni

Con ordinanza n. 7304 del 16 marzo 2021 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Di Iasi, Rel. Mele) si è espressa in merito alla corretta quantificazione dell’imposta di registro dovuta sugli atti dell’Autorità Giudiziaria aventi ad oggetto l’accoglimento della domanda revocatoria fallimentare di contratti di compravendita immobilare.

Nei fatti il tribunale di Udine, con sentenza sottoposta a registrazione, in accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare, dichiarava inefficaci nei confronti del Fallimento di una s.r.l. i due contratti di compravendita immobiliare conclusi con due distinti acquirenti. La venditrice, a seguito del vittorioso esperimento dell’azione esecutiva da parte del Fallimento sui beni oggetto dei contratti di compravendita, veniva altresì condannata a restituire l’importo del prezzo convenuto e pagato da ciascuno degli acquirenti (complessivamente euro 522.000,00; di cui 276.000,00 per un immobile e 246.000,00 per l’altro). In relazione a tale sentenza, l’Agenzia delle entrate emetteva distinti avvisi di accertamento liquidando l’imposta di registro, ex art. 8, lett. b) della Tariffa parte I allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, nella misura di euro 15.693,72, calcolata sulla base imponibile di euro 522.000,00. Gli acquirenti e il Fallimento impugnavano detto avviso avanti alla CTP di Udine che accoglieva il ricorso con sentenza poi riformata in appello dalla CTR del Friuli Venezia-Giulia.

Come noto l’art. 8 della prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986 assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente un giudizio, prevedendo le fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa e quelle in cui è dovuta in misura proporzionale. In particolare, ai sensi della lett. b) sono soggetti ad un’imposta proporzionale del 3% quelli “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; mentre la lett. e), assoggetta ad imposta fissa quelli “che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto”.

La Corte, accolto il primo motivo di ricorso, ha ribadito il più volte enunciato principio di diritto per cui “il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria (ordinaria o) fallimentare del negozio stipulato dal debitore poi fallito non determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, né alcun effetto direttamente traslativo nei confronti dei creditori, bensì soltanto l’inefficacia dell’atto rispetto ai creditori procedenti, rendendo il bene alienato, o comunque oggetto di atti dispositivi, assoggettabile all’azione esecutiva, senza in alcun modo caducare, ad ogni altro effetto, l’avvenuta disposizione” (cfr. Cass. n. 31277/2018, Cass. n. 17590/2005; Cass. n. 8419/2000; Cass. n. 8962/1997; Cass. n. 2154/1984).

I Giudici di Legittimità hanno altresì specificato come detto principio non muta per effetto della circostanza che la sentenza abbia anche recato la condanna alla restituzione del prezzo pagato dagli acquirenti, a seguito del vittorioso esperimento dell’azione esecutiva da parte del Fallimento sui beni oggetto delle compravendite. L’accoglimento della revocatoria fallimentare si inserisce infatti in una procedura esecutiva già in atto, caratterizzata dalla acquisizione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei creditori e l’acquisizione del bene revocato alla massa attiva della procedura non ne comporta, pertanto, unicamente il recupero alla funzione di garanzia generale dei creditori sancita dall’art. 2740 cod. civ. a carico del patrimonio del debitore esecutato, ma conferisce al curatore il potere di apprensione del bene medesimo non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell’interesse della massa (cfr. Cass n, 31277/2018). Diverso è il caso in cui la sentenza di accoglimento della revocatoria fallimentare abbia ad oggetto un pagamento eseguito dal fallito: tale sentenza non determina la mera inopponibilità di tale pagamento al fallimento, ma ha un effetto traslativo pieno, comportando il depauperamento del patrimonio dell’accipiens, con contestuale, immediato trasferimento al fallimento della corrispondente ricchezza soggetta all’aliquota proporzionale di cui all’art. 8, comma 1, lett. b) parte prima della Tariffa (cfr. Cass. n. 31277/2018).

In merito al secondo motivo di ricorso, anch’esso accolto, la Corte ha ricordato come l’obbligazione solidale prevista dall’art. 57 d.P.R. n. 131/1986 per il pagamento dell’imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in un giudizio con pluralità di parti non grava (quando si tratti di litisconsorzio facoltativo) sui soggetti che non siano parti del rapporto sostanziale oggetto del giudizio. Ai fini della verifica della debenza o meno dell’imposta nascente da una sentenza, è pertanto necessario avere riguardo esclusivamente alla situazione sostanziale che ha dato causa alla sentenza registrata. Nel caso di specie la sentenza revocatoria soggetta a registrazione aveva ad oggetto due distinti rapporti sostanziali, rappresentati dai due contratti di compravendita conclusi dalla medesima parte venditrice con due diverse parti acquirenti e conteneva, nella parte dispositiva, statuizioni distinte (pur se di contenuto analogo) per ciascuno di essi.