Non soggetti ad IRAP i compensi inerenti l’attività di sindaco di società svolta dal commercialista: è opportuno in fattura distinguerli da quelli derivanti lo svolgimento della professione ordinaria

“In tema di Irap, qualora il professionista, oltre a svolgere attività ordinaria di commercialista, sia titolare di carica di sindaco di società, l’imposta non è dovuta anche per i compensi correlati a quest’ultima attività, che vanno pertanto scorporati da quelli derivanti dalle altre attività, ai sensi degli artt. 3, comma 1, lett. c) e 8 del d.lgs. n. 446 del 1997”. Questo il principio di diritto ribadito con ordinanza n. 7182 del 15 marzo 2021 dalla sez. Quinta della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Condello).

Nei fatti con distinti avvisi di accertamento, relativi all’anno d’imposta 2003, l’Agenzia delle entrate rettificava le dichiarazioni presentate da uno studio tributario e dai relativi associati sia ai fini IRPEF, disconoscendo diversi costi, sia ai fini IRAP, non avendo l’associazione ed i singoli associati indicato alcun imponibile, pur disponendo di autonoma organizzazione. La CTP, riuniti i ricorsi, riconosceva la deducibilità dei costi, ma rigettava le doglianze dei contribuenti con riguardo all’IRAP. La CTR invece, in seguito agli appelli presentati dalle parti, da un lato confermava parzialmente gli avvisi di accertamento in merito all’IRPEF, dall’altro, pur riconoscendo l’esistenza di una autonoma organizzazione, escludeva che nella fattispecie i compensi per l’assolvimento di incarichi quali amministratori di società o componenti di collegi sindacali (di cui all’art. 50 lett. c-bis) del TUIR) fossero assoggettabili all’IRAP proprio perché assimilati a redditi da lavoro dipendente.

Da qui il ricorso per cassazione con il quale l’Ufficio deduceva: la violazione e la falsa applicazione dell’art. 50 del TUIR sostenendo come l’assimilazione al lavoro dipendente dovesse escludersi nel caso di specie rientrando l’attività di sindaco o amministratore nell’oggetto dell’arte o professione esercitata dai contribuenti (iscritti agli albi dei dottori commercialisti e degli avvocati); la violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e 3 del d.lgs 446/97 per non avere il giudice di merito accertato, escludendoli tuttavia dalla base imponibile IRAP, che detti compensi non fossero stati conseguiti mediante l’utilizzo della propria autonoma organizzazione.

I Giudici di Legittimità, nel ribadire un ormai consolidato principio giurisprudenziale, hanno riaffermato come gli artt. 3, comma 1, lett. c) e 8 del d.lgs. n. 446 del 1997 escludono l’assoggettabilità ad imposizione di quella parte di reddito che il lavoratore autonomo (che esercita abitualmente l’attività professionale intellettuale) abbia conseguito in qualità di amministratore, revisore e sindaco di società; questo perché unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata è soggetto ad imposizione fiscale (cfr. Cass. n. 4246/2016; Cass. n. 22138/2016). In particolare già in precedenza la Corte si è espressa con riferimento ai redditi realizzati da un libero professionista nell’esercizio di attività di sindaco o di amministratore, escludendo l’imposizione del ricavo netto consequenziale a tale attività specifica a patto che risulti possibile, in concreto, scorporare le diverse categorie di compensi conseguiti e verificare l’esistenza dei presupposti impositivi per ciascuno dei settori interessati (Cass. n. 1712/2017; Cass. n. 15803/2011; Cass. n. 3434/2012).

La Corte, respinto il ricorso dell’Agenzia, ha evidenziato come nella fattispecie in esame i giudici di appello avessero correttamente ritenuto di dover escludere dalla base imponibile Irap tali compensi perché derivanti da incarichi svolti separatamente dall’attività prestata per l’associazione professionale, tenuto conto che i contribuenti avevano dimostrato, mediante l’esibizione delle relative fatture, di avere percepito compensi per gli incarichi derivanti dall’attività di sindaco svolti presso varie società, da distinguere da quelli derivanti dall’attività di commercialisti o di avvocati. Non solo, la Suprema Corte ha anche rimarcato come né dalla sentenza impugnata né dal ricorso per cassazione risultasse che l’Amministrazione finanziaria avesse provato o chiesto di provare, come era suo onere (trattandosi di avviso di accertamento e non di richiesta di rimborso di imposta), alcuna ipotetica o anomala ‘torsione’ delle funzioni tipiche di sindaco verso forme di etero-integrazione tra le compagini sociali sindacate e l’auto-organizzazione collettiva esterna dello studio associato.