Con ordinanza n. 8034 del 23 marzo 2021 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Sorrentino, Rel. Venegoni) è tornata ad esprimersi in materia di disapplicazione della normativa anti-elusiva per le società di comodo in relazione ad una controversia sorta tra l’Amministrazione finanziaria ed una s.r.l. stabilendo alcuni interessanti principi.
Nei fatti l’Agenzia delle Entrate emanava nei confronti di una società a responsabilità limitata un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2006 motivato con riferimento alla disciplina delle società non operative (di cui all’art. 30 legge 724 del 1994) atteso che dall’unica attività della società, la partecipazione in altra s.r.l., non era derivato alcun reddito da percezione di dividendi. La società impugnava l’avviso deducendo che ciò era dovuto al fatto che la partecipata per quell’anno di imposta aveva deliberato di non distribuire dividendi, destinando gli importi al proprio rafforzamento patrimoniale. La CTP di Milano annullava l’avviso di accertamento a carico della società; la CTR respingeva l’appello presentato dall’Ufficio. Da qui il ricorso in Cassazione dell’Agenzia che, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 30 l. 724/1994, lamentava come il caso di specie non rientrasse nell’ipotesi di “società che non era in un periodo normale di attività” che costituiva una delle esclusioni della disciplina delle società non operative.
La Corte ha però disatteso le doglianze dell’Ufficio; la situazione del “normale periodo di attività” paventata dall’Amministrazione ricorreva infatti nella formulazione della norma vigente fino al 2006: in quell’anno il suddetto art. 30 veniva riscritto dal d.l. 223/2006, con effetto proprio dall’anno di imposta in questione. In particolare ai sensi del novellato art. 30, comma 4-bis, veniva consentita la disapplicazione della normativa della normativa sulle società non operative su richiesta per “oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi” (interpello disapplicativo che, nella specie, era stato presentato dalla società e respinto dall’Ufficio).
I Giudici di Legittimità, evidenziando come già in precedenza la Corte avesse ritenuto che “la nozione d’impossibilità di cui alla disposizione in esame va intesa non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato” (cfr. Cass. n. 21358/2015, Cass. n. 5080/2017, Cass. n. 16204/2018), hanno dunque ritenuto corretta l’interpretazione operata dal giudice di seconde cure nel sostenere che la mancata distribuzione di utili da parte della partecipata integrasse quella “impossibilità oggettiva” estranea alla volontà della contribuente tale da consentire la non applicazione della normativa anti-elusiva.
Non solo, la Corte ha anche avuto modo di precisare come (successivamente al 2006 e a partire dal 2008) la legge 244/2007 ha introdotto nell’art. 30 il comma 4-ter secondo cui con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate possono essere individuate determinate situazioni oggettive, in presenza delle quali è consentita la disapplicazione della normativa anti-elusiva senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello. In tal senso il provvedimento n. 23681/2008 dell’Agenzia ha avallato la disapplicazione ai sensi del comma 4-ter per (lett. e)) le società che detengono partecipazioni in società considerate non di comodo ai sensi dell’articolo 30 della legge n. 724 del 1994 (limitatamente alle predette partecipazioni).
Dal 2008, dunque, come ricordato dalla Corte, la partecipazione in altre società operative è stata riconosciuta “per tabulas” come una di quelle situazioni che può giustificare la non applicazione della normativa sulle società di comodo.