Prelevamenti ingiustificati da conto corrente: arbitrario ipotizzare che siano destinati ad investimento nell’ambito dell’attività professionale, l’onere della prova ricade sull’Amministrazione

Con ordinanza n. 10290 del 20 aprile 2021 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bisogni, Rel. Novik) è tornata ad esprimersi circa la verifica della applicabilità della presunzione legale posta dall’art. 32, co. 1, numero 2, secondo periodo del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 nei confronti del contribuente lavoratore autonomo.

Nei fatti l’Ufficio, a causa della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, rideterminava induttivamente in euro 34.075,00 il reddito di lavoro autonomo di una contribuente persona fisica, sulla base degli accreditamenti e prelevamenti dai conti correnti, ritenuti compensi per prestazioni di lavoro. Sia la CTR che la CTP respingevano i ricorsi presentati dalla contribuente che ricorreva dunque per cassazione denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, co. 1, numero 2, secondo periodo del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

I Giudici di Legittimità, accolto il ricorso, hanno ricordato come la Corte Costituzionale con sentenza 24 settembre 2014, n. 228 ritenendo “arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito” ha rilevato la contrarietà della presunzione posta dall’ultima parte dell’art. 32, comma 1, n. 2 e dell’inversione dell’onere probatorio che ne discende al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva, dichiarando, con ciò, l’illegittimità costituzionale della sopra riportata disposizione limitatamente alle parole ‘o compensi’.

La Corte, cassando dunque la sentenza della CTR fondata sull’applicazione di una illegittima presunzione legale, in coerente applicazione della decisione della Corte Costituzionale, ha riaffermato il principio secondo cui è venuta meno, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale, limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti ricadendo, quindi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi.