Sentenza di appello sinteticamente riferita “per relationem” a quella di primo grado: nullità per difetto di motivazione

Ottimi spunti sul versante delle impugnazioni verso le sentenze con carenze motivazionali si possono trarre dalla Sentenza 11 marzo 2016, n. 4791 della Corte di Cassazione. Essa decide sul ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della CTR Toscana che, in punto di motivazione, si era riportata alle ragioni  che la commissione provinciale aveva posto a base dell’accoglimento del ricorso.

Secondo la Corte di Cassazione deve ravvisarsi il vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (cfr. Corte cass. V sez. 16.7.2009 n. 16581; id. I sez. 4.8.2010 n. 18108) e dunque non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr. Corte cass. V sez. 10.11.2010 n. 2845) ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice (cfr. Corte cass. III sez. 3.11.2008 n. 26426, con riferimento al ricorso ex art. 111 cost. id. sez. lav. 8.1.2009 n. 161).

Con specifico riferimento alla motivazione cd. “per relationem” alla sentenza di prime cure (ipotesi che ricorre nella specie), questa Corte ha statuito che “è legittima la motivazione della sentenza di secondo grado “per relationem” a quella di primo grado, a condizione che fornisca, comunque, sia pure sinteticamente, una risposta alle censure formulate nell’atto di appello, attraverso un iter argomentativo desumibile dalla integrazione della parte motiva delle due sentenze di merito.

In altri termini a condizione chee il giudice di appello dimostri in modo adeguato di avere valutato criticamente sia la pronunzia censurata che le censure proposte” (cfr. Corte cass. II sez. 28.1.2000 n. 985. Massima consolidata: Corte cass. SU 8.6.1998 n. 5712; id. III sez. 18.2.2000 n. 181; id. I sez. 27.2.2001 n. 2839; id. V sez. 12.3.2002 n. 3547; id. V sez. 3.2.2003 n. 1539). In tale ipotesi, pertanto, la motivazione -quale elemento costitutivo della sentenza- risponde ai requisiti indispensabili di sufficienza laddove richiami i punti essenziali della motivazione della sentenza di primo grado confutando le censure mosse contro di essi con il gravame, attraverso un itinerario argomentativo ricavabile dalla integrazione dei due corpi motivazionali (cfr. Corte cass. II sez. 4.3.2002 n. 3066; id. I sez. 14.2.2003 n. 2196; id. III sez. 2.2.2006 n. 2268).

Nel caso specifico la sentenza di appello (che viene infine cassata con rinvio) conteneva affermazioni meramente tautologiche e non esplicativo – logiche (mancanza di idonee prove). Con ciò la Corte ravvisa il difetto di una precisa individuazione dei fatti rilevati, sia del criterio logico utilizzato per pervenire all’enunciato valutativo su quei fatti. Manca completamente, inoltre, l’aggancio ai motivi di gravame e alla loro elaborazione, rimanendo circoscritto tale esame all’affermazione secondo la quale “nessun nuovo elemento….è stato addotto”.