Test di operatività per le società di comodo: il risultato negativo non giustifica l’emissione della cartella di pagamento, è necessario avviso di accertamento preventivo contestabile dal contribuente

“Il risultato del cd. test di operatività non è da solo idoneo a giustificare l’emissione della cartella ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 senza la previa emissione di un avviso di accertamento ex artt. 38 e ss. d.P.R. n. 600 del 1973, costituendo il valore del test di operatività un dato meramente presuntivo, sulla base del quale il contribuente ben potrà fornire la prova contraria contestando le risultanze dei parametri e degli indici di cui all’art. 30 legge n. 724 del 1994”.

Questo il principio di diritto ribadito con ordinanza n. 29734 del 29 dicembre 2020 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Condello) in soluzione di una controversia sorta tra l’Agenzia delle Entrate ed una società a responsabilità limitata in liquidazione.

Nei fatti l’Agenzia a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 emetteva una cartella esattoriale per il recupero di IRES non versata in conseguenza del mancato adeguamento della società contribuente al reddito minimo previsto per le società non operative, ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994. La CTP accoglieva il ricorso della contribuente, mentre la CTR riformava la decisione del giudice di prime cure accogliendo il ricorso dell’Ufficio. In particolare il giudice di appello aveva ritenuto giustificata l’emissione della cartella esattoriale, sottolineando che l’art. 36-bis citato consentisse all’Amministrazione finanziaria di correggere errori o omissioni di imposta in cui era incorso il contribuente senza che ciò comportasse la necessità dell’instaurazione di un preventivo contraddittorio con l’interessato. La CTR inoltre rilevava che la stessa società, qualificandosi come società non operativa, avesse compilato l’apposito riquadro della dichiarazione destinato al test di «Verifica dell’operatività e della determinazione del reddito imponibile minimo dei soggetti non operativi», ma non avesse poi correttamente completato la compilazione della dichiarazione, non avendo adeguato la propria autotassazione all’imponibile minimo evidenziato dal test.

Da qui il ricorso in cassazione della contribuente col quale la stessa lamentava come il mancato adeguamento in dichiarazione dei redditi al reddito minimo previsto dalla legge n. 724 del 1994 non fosse dunque una mera svista o un errore materiale, ma costituisse piuttosto una scelta consapevole, considerato che, a seguito della risposta negativa all’interpello, non aveva avuto altra soluzione per contestare le risultanze di detta risposta se non omettere di adeguarsi al reddito minimo. Ad avviso della ricorrente, pertanto, la scelta effettuata, se ritenuta non corretta dall’Ufficio, avrebbe richiesto una attività accertativa che avrebbe dovuto concludersi con un avviso di accertamento debitamente motivato sotto il profilo dell’applicabilità della legge n. 724 del 1994.

I Giudici di Legittimità, accolto il ricorso della società contribuente, hanno ricordato come, secondo quanto più volte affermato dalla Corte stessa, in materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società; ferma restando la facoltà per il contribuente di fornire la prova contraria e di dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (cfr. Cass., sez. 5, 21/10/2015, n. 21358; Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9852; Cass., sez. 5, 30/12/2019, n. 34642). Del resto infatti, l’emissione di cartella a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 -bis d.P.R. n. 600 del 1973 è ammissibile solo quando l’importo scaturisca da un controllo meramente formale dei dati forniti dallo stesso contribuente o da una mera correzione di errori materiali o di calcolo, ma non quando (come nel caso in esame) presuppone la risoluzione di questioni giuridiche (cfr. Cass., sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11292; Cass., sez. 5, 8/06/2018, n. 14949; Cass., sez. 5, 21/03/2019, n. 7960).