La cartella di pagamento non preceduta da un atto di accertamento deve avere motivazione congrua, sufficiente ed intellegibile. A pena di nullità

La cartella di pagamento non preceduta da un atto di accertamento deve avere motivazione congrua, sufficiente ed intellegibile. A pena di nullità

La sentenza 24933 della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, depositata il 6 dicembre 2016 (Pres. Chindemi, Rel. Zoso) ha deciso sulla vicenda di alcuni contribuenti che hanno impugnato presso la competente CTP una cartella di pagamento che aveva come riferimento solo il periodo di imposta e il totale degli interessi richiesti in relazione alla revoca di un provvedimento di sospensione (nel contesto di un giudizio su imposta di successione).

La commissione provinciale aveva accolto il ricorso, ritenendo che la cartella non fosse sufficientemente motivata. L’Agenzia delle Entrate aveva prima appellato la sentenza della provinciale, che è stata confermata peraltro in regionale e poi aveva impugnato in Cassazione la sentenza di appello sfavorevole.

La Corte, preso atto che la cartella impugnata contiene il solo riferimento al periodo di debenza degli interessi ed al provvedimento di revoca della sospensione della cartella, afferma il seguente principio.

La cartella esattoriale, quando essa non sia stata preceduta da un avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile.

Tale obbligo deriva infatti dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990, e recepiti, per la materia tributaria, dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 ( Cass. n. 26330 del 16/12/2009 ).

Nel caso in questione, mancando l’indicazione del tasso e del metodo di calcolo, i contribuenti non sono stati posti nella condizione di controllare la correttezza del calcolo degli interessi operato dall’agenzia sulla base della somma dovuta a titolo di imposta di successione. Essi, sapevano l’importo della somma dovuta a titolo di imposta di successione, pari alla metà di quella originariamente pretesa dall’ufficio con la cartella poi sospesa, e conoscevano il periodo relativamente al quale gli interessi erano stati calcolati. Ma non avevano contezza alcuna del tasso e del metodo di calcolo, sicché avrebbero dovuto attingere ad altre nozioni giuridiche per ricostruire il metodo seguito dall’ufficio.

La sentenza di appello, favorevole ai contribuenti, va dunque confermata.