In tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (Sez. 6-5, n. 15884 del 26/06/2017).
Questo il passaggio principale dell’ordinanza n. 3999, del 19 febbraio 2018 della Sesta Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Iacobellis, Rel. Mocci).
Nel contesto di un accertamento in materia di studi di settore, una contribuente aveva impugnato l’atto impositivo ottenendo ragione sia in primo grado che in appello. Tuttavia la CTR aveva ritenuto illegittima la pretesa erariale motivando solo in ordine alla propria condivisione della decisione della CTP.
Da qui l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate con relativa cassazione con rinvio della pronuncia della CTR.
Stavolta il difetto motivazionale gioca a favore della parte pubblica, ma la sentenza richiamata (n. 15884 del 2017) l’abbiamo già trovata menzionata nella sentenza 17 novembre 2017 n. 27292 della V sezione (Pres. Chindemi, Rel. Fuochi Tinarelli) e nella Ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3066 della VI sezione (Pres. Cirillo, Rel. Manzon). In tali casi a beneficiare del vizio della sentenza di appello era stato invece il contribuente.