L’Ordinanza 9 febbraio 2018, n. 4001 della sesta sezione (Pres. Iacobelli, Rel. Mocci), accoglie un punto del ricorso dell’Agenzia delle Entrate fondato sul rifiuto di esibizione di documentazione. Con ciò si intende, nel caso specifico, che il questionario, prodotto col gravame e riprodotto nel corpo del ricorso, “mostra come l’Ufficio avesse espressamente richiesto tutta la documentazione riguardante l’autovettura targata (…) (“Si prega voler fornire al riguardo, oltre a copia del libretto di circolazione, copia del contratto di acquisto ed eventuale finanziamento, ove presente, con l’indicazione degli importi delle rate mensili”), sicché, a fronte della predetta richiesta, la mancata risposta al questionario non poteva essere qualificata che come un rifiuto (anche) all’esibizione della documentazione”.
Per la Corte in tema di accertamento tributario, l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973. Ciò peraltro solo in presenza dello specifico presupposto, la cui prova incombe sull’Amministrazione, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza.
Nel caso specifico, per la Corte, la trascrizione del questionario riporta anche da richiesta dei finanziamento e gli avvisi in ordine alla mancata produzione. La conclusione è che la CTR avrebbe dovuto reputare inutilizzabile il contratto di finanziamento esibito in seguito dalla contribuente.
Ora, la regola prevista dall’articolo 32, terzo comma, del DPR 600/73 è quella per cui: Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Le cause di inutilizzabilita’ previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”.
Quindi i passaggi sono: 1) richiesta (con avvertimento in ordine alla preclusione successiva) 2) mancato adempimento 3) contestazione nell’avviso della mancata produzione, visto che il giudizio tributario si snoda sugli specifici rilievi delle parti, inclusa quella attrice in senso sostanziale 4) ulteriore assenza della documentazione in giudizio, senza precisazione delle ragioni della mancata produzione (o ragioni non congrue relativamente alla precedente omissione).
Pare insomma che si tratti di un procedimento, per le conseguenze sanzionatorie e riduttive del diritto di difesa che esso comporta, lievemente più complesso, grave e articolato della semplice domanda-risposta (anzi, mancata risposta). Senza un accentuato rigore si incorrerebbe probabilmente in un vizio di incostituzionalità.
La stessa Cassazione con alcune sentenze del 2017 ha posto l’accento sul tale rigore, affermando ad esempio che “in tema di accertamento tributario, il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa, previsto dall’art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, presuppone che vi sia stata una specifica richiesta degli agenti accertatori (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ed opera non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione “doloso”) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere i documenti in suo possesso, o li sottragga all’ispezione, non allo scopo di impedire la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.). (Sez. V, n. 9487 del 12/04/2017). Tale passaggio motivazionale viene riportato integralmente (ed ovviamente condiviso) nella Ordinanza del 18 ottobre 2017 n. 24535 della quinta sezione della Corte di Cassazione.
Mettendo accanto la motivazione dell’ordinanza di cui trattiamo e le precedenti pronunce, insomma, non si può fare a meno di notare una diversa gradazione dei comportamenti da valorizzare a parità di conseguenze.