Avvocato con rilevanti compensi a terzi professionisti: non necessariamente è dovuta l’IRAP

Avvocato con rilevanti compensi a terzi professionisti: non necessariamente è dovuta l’IRAP

La VI Sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza 23334 del 16 novembre 2016 ribadisce i principi recentemente affermati dalla Corte in tema di IRAP professionisti. In particolare che l’avvocato che corrisponde compensi a terzi professionisti, anche rilevanti in rapporto al reddito prodotto, non necessariamente soggetto ad IRAP.

Il contribuente, soccombente nei gradi di merito in virtù delle valutazioni fatte dai Giudici, a dire il vero in modo piuttosto coerente con la giurisprudenza di qualche anno fa, sulla presenza di un dipendente con mansioni di segreteria e di compensi a terzi professionisti di una qualche rilevanza, ricorreva infine per Cassazione, facendo leva sul fatto che gli elementi alla base della sentenza di appello non fossero da ritenere sufficienti a dimostrare l’esistenza dell’autonoma organizzazione.

La Corte richiama il consolidato orientamento in base al quale l’autonoma organizzazione sussiste quando il professionista impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile e si avvalga in maniera non occasionale di lavoro altrui (Cassazione, sentenza  S.U. 12109/2009, sentenze n° 23370/2010, 16628/2011, 16406/2015). Circa la presenza di un dipendente si menziona la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 9451 del maggio 2016, in base alla quale non si ravvisa autonoma organizzazione per il professionista che si avvale soltanto di personale dedito alla segreteria.

Secondo la VI Sezione la decisione della C.T.R. non è conforme ai predetti principi di diritto, avendo affermato che l’attività professionale era assoggettabile ad IRAP, in presenza di una “autonomia organizzazione” dell’attività professionale, dedotta dai costi per compensi a terzi “professionisti” , valutati, quanto alla incidenza sul reddito prodotto, unitamente alle altre spese, senza specificazione della loro natura, e dalla presenza di un dipendente, sia pure con mansioni esecutive.

La Corte cassa quindi la sentenza di appello impugnata dal contribuente, accogliendone le ragioni e rinviando al giudice di appello in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.