Il conferimento in Trust sconta imposta di registro in misura fissa se non realizza arricchimento immediato dei beneficiari.

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con una argomentata e motivatissima sentenza, pone senz’altro un punto fermo, almeno per il momento, sulle incertezze legate alla tassazione a fini del registro della segregazione di beni in Trust.

Si tratta della Sentenza 12 settembre 2019 n. 22754 (Pres. Chindemi, Rel. Billi) che si occupa di una vicenda nella quale due coniugi avevano costituito un trust autodichiarato nel quale erano stati apportati beni immobili con la previsione che, alla scadenza, sarebbero stati beneficiari essi stessi, se ancora in vita, o i loro figli in parti uguali.

Per la Corte il nodo centrale della controversia è l’individuazione del presupposto impositivo.

Il d.l. n. 262 del 2006, convertito con modifiche dalla I. n. 286 del 2006, e l’art. 1, commi 77, 78 e 79, della I. n. 296 del 2006 (Legge finanziaria per il 2007), hanno, com’è noto, reintrodotto nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni che, fino alla sua abrogazione ad opera dell’art. 13, della I. n. 383 del 2001, era disciplinata dal d.lgs. n. 346 del 1990. Ai sensi dell’art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”, disciplina quest’ultima che trova applicazione (art. 2, comma 50), in quanto compatibile con le nuove disposizioni.

La novella legislativa ha esteso il presupposto impositivo ai trasferimenti a titolo gratuito, nonché alla costituzione dei vincoli di destinazione.

Nell’ambito concettuale dei “vincoli di destinazione” vanno, poi, ricondotti non solo gli “atti di destinazione” di cui all’art. 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall’ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, ed in tal senso si è espressa anche l’Amministrazione finanziaria (cfr.Circolare 3/E del 22 gennaio 2008), secondo la quale per vincoli di destinazione si intendono “i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi”.

In tale perimetro normativo va ricondotto anche il negozio giuridico denominato trust, istituto di derivazione anglosassone, riconosciuto nell’ordinamento giuridico italiano per effetto della ratifica della Convenzione de l’Aia del 1 luglio 1985 con I. n. 364 del 1989.

Per quanto concerne l’imposta di registro (ma tematica analoga investe anche l’imposta ipotecaria e catastale), la controversia applicativa riguarda, segnatamente, la quota di imposta eccedente la misura fissa, secondo quanto stabilito in via residuale dall’articolo 9 della Tariffa allegata al d.P.R.131/86, secondo cui la tassazione proporzionale (3 %) si applica per la sola circostanza che l’atto abbia per oggetto “prestazioni a contenuto patrimoniale”. L’imposta di registro occupa il caso di specie.

La posizione della Cassazione è mutata nel tempo. Quella che la Sezione Tributaria definisce di arrivo (Cass. n. 1131 del 2019) afferma che:

– “non si può trarre dallo scarno disposto del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, il fondamento normativo di un’autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo, in senso proprio, di beni e diritti, pena il già segnalato deficit di costituzionalità della novella così letta”;

– “in relazione agli atti di dotazione del fondo oggetto di causa (…), il giudice di appello (…) ha correttamente escluso che la costituzione del vincolo di destinazione sulle somme di denaro conferite in trust avesse prodotto un effetto traslativo immediato, solo in tal caso giustificandosi la soggezione dell’atto dotativo all’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, in quanto sicuro indice della capacità economica del soggetto beneficiato”.

La Corte ritiene che quest’ultima sia la posizione più persuasiva, così da dover essere recepita nel caso specifico. Ciò “a composizione di un contrasto che può sul punto dirsi, anche in ragione delle altre decisioni di cui si darà conto, ormai soltanto diacronico”.

Ciò perché la tesi della ‘nuova imposta’ gravante sul vincolo di destinazione, assunto quale autonomo e sufficiente presupposto, non dà adeguatamente conto del fatto che la soia apposizione del vincolo non comporta, di per sé, incremento patrimoniale significativo di un reale trasferimento di ricchezza; con quanto ne consegue, appunto nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata, in ordine alla non ravvisabilità in esso di forza economica e capacità contributiva ex art.53 Cost.