Come di consueto dopo la pausa estiva, torniamo indietro di qualche settimana per esaminare qualche pronuncia interessante depositata sul limite del periodo feriale. E’ il caso della Ordinanza n. 20617 del 31 luglio 2019 emessa dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. De Masi, Rel. D’Oriano).
Il tema è quello della mancata sottoscrizione di un ricorso e delle conseguenze processuali successive in ordine alla possibile inammissibilità.
Nel caso specifico dall’esame del fascicolo di primo grado emergeva infatti che il ricorso introduttivo non era stato sottoscritto né dalla parte personalmente né dal procuratore costituito, e tanto sia in riferimento all’originale depositato presso la segreteria della CTP sia alla copia notificata alle parti.
Ma a margine dello stesso risultava apposta regolare procura alle liti, firmata dal difensore del ricorrente per l’autentica della firma.
La Corte rammenta che la disciplina speciale del processo tributario, ai sensi dell’art.18, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, (nel testo “ratione temporis” applicabile antecedente alle modifiche di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2016) prevede che il ricorso dinanzi alla commissione tributaria provinciale è inammissibile se manca di uno degli elementi considerati essenziali dal legislatore, indicati al comma 2, ad eccezione del codice fiscale e dell’indirizzo PEC, ovvero quando non vi sia la sottoscrizione a norma del comma 3.
Il comma 3 prevede che “il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore del ricorrente e contenere l’indicazione dell’incarico a norma dell’art. 12, comma 3” . II requisito della sottoscrizione è previsto anche dalla disciplina del codice rito il cui art. 125, in riferimento agli atti di parte, prescrive che l’originale e le copie degli atti ivi indicati devono essere sottoscritti dalla parte che sta in giudizio personalmente oppure dal procuratore.
Secondo un orientamento consolidato della stessa Cassazione, tuttavia, il difetto di sottoscrizione è causa di inesistenza dell’atto, atteso che la sottoscrizione è elemento indispensabile per la formazione dello stesso, solo quando non desumibile da altri elementi, quali la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso. (Vedi Cass. n. 1275 del 2011 in riferimento all’atto di appello; n. 8046 del 2006 in tema di domanda di ingiunzione; n. 5971 del 2014 e n. 2070 del 2008 in caso di ricorso tributario sottoscritto solo dalla parte; n. 9490 del 2007 in tema di ricorso per opposizione agli atti esecutivi). Anche in riferimento al giudizio di legittimità si è precisato che “La firma apposta dal difensore in calce o a margine del ricorso per cassazione ai fini dell’autenticazione della procura speciale vale anche quale sottoscrizione del ricorso, in quanto consente di attribuire al difensore che ha autenticato la sottoscrizione della procura speciale anche la paternità del ricorso stesso” (Vedi Cass. n. 7443 del 2017 e n. 18491 del 2013).
Come criterio generale la Corte menziona il fatto che tali pronunce sono ispirate dalla comune considerazione che se il totale difetto di sottoscrizione comporta l’inesistenza dell’atto, d’altra parte il precetto posto dal citato art. 125 cod. proc. civ. può ritenersi osservato quando la provenienza dell’atto da un difensore munito di valido mandato sia desumibile da altri elementi indicati nell’atto stesso.
In tema di processo tributario opera poi altro fondamentale principio formulato dal giudice delle leggi (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 189), che vuole che “le disposizioni tributarie siano lette in armonia con i valori della tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni d’inammissibilità. È necessario, difatti, dare alle norme processuali in genere, ed a quelle sul processo tributario in particolare, una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia che è istituzionalmente propria del processo e, però, consenta, per quanto possibile, di limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni d’inammissibilità in danno delle parti che di quella garanzia dovrebbero giovarsi (vedi Cass. n. 18088 del 2004 e n. 23752 del 2015)”.
Attenendosi a tale principio si è così affermato che ” In tema di processo tributario, il ricorso introduttivo è inammissibile, ai sensi degli artt. 18, comma 4, e 22, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, solo ove la sottoscrizione manchi materialmente, ma non quando essa risulti presente “per relationem” attraverso il rinvio implicito della fotocopia depositata all’atto introduttivo del giudizio, notificato in originale, e la sua conformità non sia stata fondatamente contestata, in quanto le norme processuali che prevedono forme di inammissibilità devono essere interpretate restrittivamente, al fine di salvaguardare la funzione di garanzia propria del processo e limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni in danno delle parti” (Sez. 5 Ordinanza n. 3089 del 01/02/2019 e n. 23752 del 2015). Ed ancora che “In tema di contenzioso tributario, l’illeggibilità della sottoscrizione, da parte del ricorrente o del suo difensore, della copia del ricorso depositata presso la segreteria della commissione tributaria non ne determina l’inammissibilità, ma costituisce una mera irregolarità, atteso che il principio di effettività della tutela giurisdizionale impone d’interpretare in senso restrittivo le previsioni d’inammissibilità”. (In Sez. 5, Sentenza n. 16758 del 09/08/2016).
L’eccezione sul punto di parte ricorrente viene pertanto respinta.
A nostro giudizio la pronuncia specifica e quelle a cui essa si richiama costituiscono un importante riferimento per limitare al massimo le “irragionevoli sanzioni di inammissibilità” anche in ipotesi diverse dalla mancanza di firma e per ricordare la “funzione di garanzia che è istituzionalmente propria del processo” nell’interesse generale.