Possiamo parlare di contraddittorio preventivo in modo corretto?

(commento a cura di Luca Mariotti)

 

Avevo visto l’Ordinanza del 5 settembre 2017 n. 20799 della sezione filtro della Corte di Cassazione, in tema di contraddittorio preventivo per tributi non amministrati in caso di accertamenti a tavolino. Non mi aveva per la verità suscitato alcun particolare interesse, rientrando nel novero delle moltissime pronunce copia-incolla della sesta sezione che prendono atto di quanto affermato il 9 dicembre 2015 dalle Sezioni Unite (n. 24823) e sparano sul malcapitato contribuente due righe di sintetica motivazione.

Poi l’ho letta e l’ho mal digerita. I toni sono quelli di una affermata evidenza di principio che non c’è, o meglio c’è solo se la guardiamo in ordine cronologico. Le sezioni unite del 2015 contrastano l’idea di un principio generale di dovere di contraddittorio preventivo, certo. Ma al contrario esso era stato affermato in tema di accertamenti standardizzati da Sezioni Unite 18 dicembre 2009 nn. 26635-36-37-38 richiamando sia il principio di buona amministrazione sia l’articolo 24 Cost. (che ritroveremo in sezioni unite 18 settembre 2014 nn. 19667-19668). Il riferimento a tali due, non banalissimi, articoli della Carta Costituzionale verrà poi contestato dalle sezioni unite nel dicembre 2015. Delle quali la prima (quella sugli “standard”) verrà comunque considerata ancora valida sulla base delle non meglio precisate caratteristiche “ontologiche” di studi, parametri e standard in genere.

A contrario, rispetto a quanto la sesta sezione afferma con certezza (e quindi in linea con l’affermazione di un principio valido per tutti i tributi e per tutti gli accertamenti), risultano anche la sezioni unite 18184/2013 e la Corte Costituzionale 132/2015, quest’ultima certo mal meditata dalle sezioni unite 2015 che affermano che l’idea che il riferimento alla giurisprudenza precedente sia un mero “rilievo” che non porta elementi utili alla elaborazione. Ma in realtà il passaggio della Corte Costituzionale è il seguente: “l’attivazione    del contraddittorio endoprocedimentale  costituisce  un  principio  fondamentale immanente nell’ordinamento, operante anche in  difetto  di  una  espressa  e specifica previsione normativa, a  pena  di  nullità  dell’atto  finale  del procedimento”.

Tale “rilievo”, peraltro chiarissima affermazione di principio, viene usato dalla Consulta per decidere. E rimane un punto fermo nella giurisprudenza costituzionale, visto che le tre ordinanze del 13 luglio scorso sulla questione non sono entrate nel merito, limitandosi ad aspetti procedurali preliminari.

Sugli accertamenti a tavolino sentenze della suprema corte degli ultimi anni (20770/2013; 2594/2014) hanno affermato il contrario di quanto in maniera decisa oggi la corte stessa espone accogliendo il motivo “manifestamente fondato” dell’Agenzia ricorrente. Cioè che anche in quel caso occorre attivare il contraddittorio preventivo.

Il quadro sembra quindi tutt’altro che definito e certo, pur se l’ultima pronuncia (quella del dicembre 2015), evidentemente difforme rispetto a tutte le altre, è il riferimento unico della motivazione dell’ordinanza del 5 settembre.

Anche in punto di limiti all’invocazione del diritto al contraddittorio non ci siamo.

Il passaggio è il seguente: “un obbligo generale di contraddittorio, la cui violazione comporti la nullità dell’atto, sussiste unicamente riguardo ai tributi armonizzati e purché il contribuente enunci in concreto le ragioni che avrebbe inteso far valere al fine di valutare la natura non meramente pretestuosa dell’opposizione”.

Tale passaggio, veicolato ancora dalle sezioni unite del 2015 (con parole ben più caute), è la trasposizione di una frase della sentenza Kamino-Datema del 2014: “una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso (v., in tal senso, sentenze Francia/Commissione, C‑301/87, EU:C:1990:67, punto 31; Germania/Commissione, C‑288/96, EU:C:2000:537, punto 101; Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio, C‑141/08 P, EU:C:2009:598, punto 94; Storck/UAMI, C‑96/11 P, EU:C:2012:537, punto 80, nonché G. e R., EU:C:2013:533, punto 38)”.

A parte risultare un po’ meno “apodittico” del principio ventilato dalla VI sezione, tale aspetto di limitazione delle garanzie della Carta di Nizza (art. 41) a nostro modestissimo avviso non ha ragione di essere.

Alcune delle sentenze citate non sono tematicamente rilevanti. Molte sono di epoca precedente alla firma della Carta che ha “lo stesso valore dei trattati” per quanto affermato dal Trattato di Lisbona (2007). Quindi si riferiscono a un contesto normativo non paragonabile all’attuale.

L’articolo 41 comma 2 della Carta prevede invece “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”.

Un diritto senza se e senza ma.

La cui attivazione non può mai essere “pretestuosa”.

Una pronuncia che non ci convince affatto dunque. Su questi argomenti, non facilissimi, vale la pena di studiare un po’ di più e non basarsi su copia-incolla o su apodittiche affermazioni di principio. E magari disporre in punto di spese con un po’ di attenzione all’intreccio interpretativo venutosi a creare dopo il 2015, in evidente contrasto con la funzione nomofilattica delle Sezioni Unite.

 

Per un approfondimento: Luca Mariotti, “Il contraddittorio endoprocedimentale preventivo tributario”; Fisco e Tasse, “Ebook di approfondimento”, settembre 2017.