Redditometro come presunzione legale: l’auto storica “pesa” come tutte le altre.

Non ci convince, lo chiariamo subìto, l’ordinanza n. 15899  del 26 giugno 2017 con la quale la Sesta sezione della Corte di Cassazione ha accolto, in riforma della sentenza di appello, un ricorso dell’Agenzia delle Entrate in materia di (vecchio) redditometro.

In particolare il passaggio nel quale gli “elementi indicatori di capacità contributiva” (già la loro definizione letterale dovrebbe forse far meditare….) vengono indicati come presunzioni “legali”. Ora, è noto che sin dal dicembre 2009 le Sezioni Unite abbiano richiesto rigore estremo nell’applicazione di indicatori di redditi o ricavi di natura tabellare. E abbia ricordato che si tratta sempre di presunzioni semplici, neppure qualificate. Si parlava, in quel caso, di algoritmi ben più complessi e strutturati di questi vecchi coefficienti che elaborano risultati a dir poco paradossali in alcuni casi (auto, anche di piccola cilindrata, per esempio).

Citiamo al riguardo un paio delle tante massime di segno motivatamente opposto, ovvero la sentenza n. 23554 del 20 dicembre 2012, secondo cui “(…) l’accertamento sintetico disciplinato dal d.P.R. n. 600 del 1973 , art. 38, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, convertito in L. n. 122 del 2010, tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i c.d. elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale”, nonché l’ordinanza n. 2806 del 6 febbraio 2013, laddove è affermato che “La determinazione sintetica del reddito si basa su presunzioni semplici in virtù delle quali (articolo 2727 del Codice civile) l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nella specie, l’esborso rilevante di somme di denaro per l’acquisto di quote sociali) e quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva)”.

Anche il fatto che non possa distinguersi all’interno della categoria “autovetture” tra quelle normalmente utilizzate e quelle storiche può lasciare dei dubbi. Ricordiamo al riguardo che nell’ordinanza 21335/2015 si è distinto nel caso del possesso di cavalli tra quelli da equitazione o da corsa e quelli da affezione o da passeggio, non considerati rilevanti. In quel contesto c’era un dato letterale a cui far riferimento, ma la ratio non dovrebbe essere dissimile nel caso specifico, considerato che auto molto anziane si tengono per affezione e non per destinarle ad un uso costante.