Recentemente la Corte di Cassazione a sezioni unite nella sentenza 16 novembre 2017, n. 27199 ci aveva detto, con riferimento al rito civile, che l’atto di impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, ponendo accanto alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
La Corte – argomentando in merito al progressivo avvicinarsi del giudizio di appello al modello della revisio prioris instantiae (rispetto alla più datata concezione del novum iudicium) – ha al riguardo ricordato come la questione del contenuto minimo dell’atto d’appello sia stata più volte affrontata dalla Corte stessa. In particolare, sotto il profilo qualitativo, si è ritenuto che si debba proporre, con l’atto di appello, lo sviluppo di un percorso logico alternativo a quello adottato dal primo Giudice e al tempo stesso chiarire in che senso tale sviluppo logico alternativo sia idoneo a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte. Così per esempio Cass., 5 febbraio 2015, n. 2143 Cass., sez. un., 27 maggio 2015, n. 10878. Quest’ultima sentenza chiede l’indicazione «chiara e esauriente» del quantum appellatum, ossia dei «punti e capi della decisione investiti dal gravame», nonché delle «ragioni, correlate ed alternative rispetto a quelle che sorreggono la pronuncia, in base alle quali è chiesta la riforma».
Con questa necessaria premessa affrontiamo la lettura della ordinanza n. 3267 della Sesta Sezione della Corte (Pres. Cirillo, Rel. Luciotti) del 9 febbraio 2018.
Scoprendo che, ad onta di quanto appena letto, “nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito” (Cass. n. 3064 del 2012).
Pare che la norma specifica che regola l’appello nel processo tributario consenta, almeno dal lato pubblico, una minor ritualità, rispetto a quanto appena visto con riferimento alle regole del giudizio civile (sempre applicabili, ma coi limiti dell’articolo1, secondo comma, D.Lgs. 546/92, ovvero per quanto non disposto e non incompatibile).
Almeno questa ci pare l’unica possibile chiave di lettura per giustificare le evidenti divergenze nella giurisprudenza della Corte.