Attenzione all’inventario di fine esercizio: la sua mancanza può determinare (da sola) l’accertamento induttivo. Tutto giusto?

L’ Ordinanza 21 settembre 2020, n. 19658 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bruschetta Rel. Nocella) respinge il ricorso di una società e dei soci fondato su varie eccezioni rispetto alla sentenza della CTR. Tra l’altro la pronuncia di appello viene censurata sotto il profilo della omessa insufficiente o contraddittoria motivazione riguardo le censure articolate nell’atto d’appello per evidenziare la violazione da parte della CTP dei principi in tema di ripartizione dell’onere della prova e per confutare la sussistenza dei presupposti per l’accertamento induttivo.

La Corte ripercorre la motivazione, certamente articolata, della CTR, la quale considera alcuni elementi di fatto che renderebbero inattendibile la contabilità, ovvero a) una vistosa lacuna di presenza di dipendenti nel periodo indicato b) le ragguardevoli discordanze delle consistenze delle rimanenze finali e quelle iniziali (tali da stravolgere totalmente l’entità del risultato d’esercizio), entrambe non coincidenti con quelle indicate nel Modello Unico e non raccordate neppure a mezzo di scritture di rettifica c) la mancata redazione dell’inventario d) le incongruenze del conto cassa, risultato negativo per varie migliaia di euro per diversi periodi dell’anno, e infine e) le discordanze delle annotazioni di detto conto con le operazioni registrate sul conto corrente della Società.

Da questi elementi si può dunque configurare quell’insieme di irregolarità formali delle scritture contabili così gravi, numerose e ripetute da renderle inattendibili nel loro complesso, conformemente al dettato dell’articolo 39 del DPR 600/73.

Un passaggio di questo ragionamento tuttavia, con riferimento alle discordanze delle rimanenze iniziali e finali aggiunge che esse sono “aggravate dall’impossibilità di procedere a controllo analitico per la mancata redazione dell’inventario, violazione quest’ultima che, secondo costante orientamento di questa Corte, sarebbe di per sé sola sufficiente a giustificare il ricorso all’accertamento col metodo induttivo, per la particolare importanza di tale documento al fine di ricostruire Corte di Cassazione – copia non ufficiale fedelmente i flussi economici dell’impresa”.

Non ci sono però nella Ordinanza della Sezione Tributaria riferimenti a massime riconducibili a questo “costante orientamento”. Ed allora abbiamo recuperato al volo alcuni passaggi di precedenti della Suprema Corte, per capire di cosa stiamo parlando.

Nella sentenza n. 24016 del 24 settembre 2016 per esempio si legge: “l’omissione delle scritture ausiliarie di magazzino, infatti, generando un impedimento alla corretta analisi dei contenuti dell’inventario, rifluisce indubbiamente sulla possibilità per gli accertatori di ricostruire analiticamente i ricavi di esercizio e determina perciò quella ‘inattendibilità complessiva delle scritture contabili’ che è presupposto normativamente previsto ai fini del ricorso alla modalità induttiva dell’accertamento (cfr. sez. 6-5, n. 14501 del 2015, sez. 5 n. 7653 del 2012, n. 16499 del 2006, n. 13816 del 2003)”.

Nella Ordinanza 28311 del 27 novembre 2017 la Corte ritiene applicabile il metodo induttivo nei confronti delle imprese in contabilità semplificata – esonerate dalle registrazioni di magazzino – solamente allorquando tali soggetti non siano in grado di fornire prospetti di dettaglio delle rimanenze tali da consentire all’ amministrazione finanziaria di effettuare i dovuti controlli (Cassazione 15863/2001, 9912/1996, 7763/1990).

Non pare però di poter dire che vi sia una generale affermazione di tale principio, così consolidata da non richiedere approfondimenti. Approfondimenti che, nel caso specifico, dovranno concentrarsi a norma di Legge non solo su un elemento contabile (la valutazione del magazzino) ma sulla inattendibilità delle scritture nel loro complesso, da fondare, secondo la Legge, su diverse irregolarità che siano, appunto, gravi, numerose e ripetute.

Nella sentenza della CTR questo riferimento normativo appare del tutto rispettato, almeno in punto di motivazione. Non altrettanto ci pare nell’inciso contenuto nell’Ordinanza della Suprema Corte, che estrapola un singolo elemento di irregolarità per affermare che esso sarebbe sufficiente da solo a rendere inattendibili le scritture.

Se anche i precedenti vi sono (forse non tanti e tali da configurare un consolidato orientamento) si può anche obiettare che essi non appaiono corretti del tutto in rapporto alla normativa e al carattere eccezionale che essa attribuisce all’accertamento induttivo. Le violazioni devono essere gravi numerose e ripetute. Non siamo del tutto sicuri che una sola irregolarità possa configurare tale situazione di fatto.