Non brillantissima, ma certo nelle conclusioni conforme alla giurisprudenza delle Sezioni Unite cronologicamente più recente, l’Ordinanza della sesta sezione della Corte di Cassazione del 6 febbraio 2018 n. 2873 (Pres. Cirillo, Rel. Napolitano) in tema di contraddittorio endoprocedimentale preventivo.
Il ricorso è proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso una Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania che aveva ritenuto applicabile ad un accertamento (in materia di IVA) l’articolo 12 comma 7 dello Statuto dei Diritti del Contribuente con la conseguenza che l’atto, emesso ante tempus rispetto ai sessanta giorni dalla notifica del p.v.c., era stato annullato.
La Corte, ricordata la sentenza delle Sezioni Unite 9 dicembre 2015, n. 24823, ritiene applicabili, in linea di principio, investendo la questione un tributo armonizzato, le garanzie dell’articolo 12 comma 7. Su specifica eccezione della ricorrente Agenzia, però, cassa la Sentenza della CTR con rinvio, avendo i Giudici regionali “omesso qualsiasi verifica in punto di assolvimento da parte del contribuente dell’onere di specifica enunciazione, in sede giudiziale, delle ragioni, non meramente pretestuose, che avrebbe potuto far valere in sede amministrativa se il termine dilatorio di cui al succitato comma 7 dell’art. 12 della 1. n. 212/2000, fosse stato rispettato”.
Vediamo allora di fare un po’ di ordine, se possibile.
Se ci si vuol richiamare al precedente del 2015 (ad oggi non superato, almeno per ciò che attiene alle Sezioni Unite, anche se la Corte Costituzionale, nella sentenza 132/2015, ha scritto qualcosa di diverso) va detto che l’ampia disquisizione sull’articolo 12 coinvolge a) il fatto che sia una norma interna che prevede l’obbligo del contraddittorio preventivo, anche se solo per le verifiche presso il contribuente b) come tale si affianca ad altre norme nazionali che legittimano il principio nei termini specifici dettati dalle singole leggi c) che non esiste quindi un principio generalizzato di contraddittorio preventivo obbligatorio, come invece le Sezioni Unite nel settembre 2014 avevano sancito (Sentenze 19667/14 e 19668/14).
Quanto poi ai tributi armonizzati, il principio è generalizzato ed esiste per regole di derivazione europea (articoli 41, 47, 48 della Carta di Nizza). Ma qui l’articolo 12 (e quindi la norma interna) non c’entra più niente. Il contraddittorio va assicurato in ogni caso: accertamenti a tavolino e accertamenti in azienda sono uguali, da questo punto di vista.
In ultimo la questione della pretestuosità, ovvero dello stress test riguardo l’asserita violazione del principio del contraddittorio preventivo, ammissibile solo se si dimostri che lo svolgimento regolare di questa fase avrebbe potuto condurre a risultati diversi.
Abbiamo già detto che tutto deriva da un passaggio motivazionale della sentenza Kamino International Logistic che riteniamo del tutto sbagliato.
Una completa lettura della sentenza citata del 2014 della Corte UE fa capire come siano veramente fallaci i riferimenti. Vengono citate infatti molte sentenze le quali, lette una per una e con attenzione, in larga parte o non sono relative alla questione o semplicemente si citano fra loro. Alcune trattano sì del problema, ma sono di epoca anteriore all’entrata in vigore della Carta di Nizza. E necessariamente le tutele di cui sopra prendono un’altra forza dopo l’innovazione costituita dalla Carta e particolarmente dopo il trattato di Lisbona che ha riscritto l’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea prevedendo che la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, … ha lo stesso valore giuridico dei trattati”.
L’operazione della Kamino di a) restringere le garanzie inserite in un testo che ha oggi lo stesso valore dei trattati b) fondare tale riduzione su giurisprudenza degli anni ’80-’90 (poi citata a catena) insomma non convince affatto.
Per sostenere la tesi della necessità di documentare l’efficacia potenziale del contraddittorio qualcuno si è ricordato allora, nel diritto interno, dell’articolo 21-octies della Legge 241/90. Tale disposizione, rubricata “Annullabilità del provvedimento” stabilisce al primo comma che sia annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. Al comma seguente si aggiunge tuttavia: “Non é annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Ma tale passaggio dalle disposizioni sul procedimento amministrativo a quello tributario non regge. La stessa Sentenza 24823/2015 nega espressamente l’applicabilità al contesto tributario delle norme della L. 241/90 in quanto l’articolo 13 del citato testo sul procedimento amministrativo “esclude espressamente dalla disciplina partecipativa ivi prevista “i procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano…”. Cioè l’articolo 13 esclude l’applicazione ai procedimenti tributari del capo III della Legge 241/90 espressamente rubricato “Partecipazione al procedimento amministrativo”.
In realtà, osserviamo noi, l’articolo 21-octies non sta nel capo III della Legge 241/90, quindi sarebbe, almeno teoricamente, applicabile. Ma a) la norma non è endoprocedimentale, ma riguarda piuttosto l’annullabilità del provvedimento già emesso b) una volta applicata per riferimento analogico, tuttavia, si avrebbe il risultato paradossale per cui una espressa esclusione dalla disciplina partecipativa amministrativa dei procedimenti tributari viene ad essere superata con il riferimento estensivo a una disposizione non riguardante il procedimento.
Quindi la regola che compare nella sentenza non trova neppure un supporto su base normativa interna.
L’ordinanza dunque traspone l’articolo 12 in un contesto (quello dei tributi armonizzati) che non gli appartiene (i titoli 5-6 della Sentenza 24823, trattando dei tributi armonizzati, neanche menzionano più la norma interna) e cade nell’errore (nel quale si trova in buona compagnia) di appiattirsi sulla regola della Kamino (ripresa dalla 24823) e del conseguente vaglio di sostenibilità, che non ha nessun riferimento normativo e/o giurisprudenziale in ambito UE (Kamino a parte, naturalmente).