Diniego di autotutela non impugnabile per i vizi dell’atto impositivo, senza che esistano “ragioni di rilevante interesse generale”. Ma l’equa tassazione non è forse di interesse generale?

Andiamo indietro di qualche settimana per segnalare una sentenza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (n. 10879 del 18 aprile 2019, Pres. Virgilio, Rel. Catallozzi) con la quale la Corte torna sulla questione del diniego di autotutela riprendendo l’orientamento ormai consolidato e che, tuttavia, lascia ancora non pochi dubbi dubbio a chi si occupi di diritto tributario da un po’ di tempo e abbia appena seguito l’evoluzione del concetto di autotutela tributaria nell’ultimo ventennio.

La Corte ricorda, sulla ricorribiltià del diniego di autotutela, che tale atto non rientra nella previsione di cui all’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, e non è, quindi, impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata nel caso specifico, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo.

Inoltre un sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria.

Viene ricordata altresì la (discussa) sentenza della Corte costituzionale del 13 luglio 2017, n. 181, sul tema.

Quindi per la Sezione Tributaria il contribuente, in riferimento al diniego di autotutela, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto impositivo, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto.

La questione ovviamente merita ben altro spazio che quello ristretto di un commento. Ma vorremmo solo ricordare in questa sede una illuminata sentenza di non molto tempo fa nella quale la CTR Sicilia Sez. Staccata di Catania (n. 493/34/15 dell’11.2.2015) sviluppò delle argomentazioni opposte a quelle di cui abbiamo appena riferito.

Circa l’impugnabilità dell’atto di diniego la CTR siciliana ricordò che Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenze nn. 16776 e 7389, rispettivamente del 10 agosto 2005 e del 27 marzo 2007), hanno affermato che l’attribuzione al giudice tributario di tutte le controversie di qualunque genere e specie rappresenta una clausola generale che comporta una competenza specifica anche per gli atti di autotutela tributaria. Inoltre l’elencazione degli atti impugnabili che si fa nel D.Lgs. 546/92 non è tassativa.

Circa l’interesse generale i Giudici siciliani affermarono che l’Ufficio non avrebbe potuto denegare l’annullamento motivandolo con la prevalenza della necessità di garantire la riscossione dei tributi (pretesamente evasi e non più recuperabili per il decorso dei termini), pena la violazione del principio costituzionale di giusta imposizione sancito dall’art. 53 della Costituzione e riconosciuto, anche dall’Amministrazione Finanziaria, come principio di interesse pubblico idoneo a sorreggere l’annullamento degli atti illegittimi.

In sostanza allora fu ritenuto dai Giudici regionali siciliani che un motivo di interesse generale risieda nella giusta imposizione. E noi, in linea con tutto il percorso storico dell’autotutela dall’ambito amministrativo a quello tributario (che forse andrebbe meglio conosciuto da tutti) siamo d’accordo con tale impostazione.