La motivazione apparente della sentenza tributaria e i limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dopo le modifiche normative del 2012.

L’ordinanza 8 marzo 2019 n. 6773 della VI Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Greco, Rel. Esposito) fornisce l’occasione per un riesame del vizio di motivazione apparente della sentenza tributaria.

La Corte ricorda che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un., n. 22232 del 2016; Cass. n. 4964 del 2017)”.

 Un altro aspetto evidenziato riguarda le modifiche introdotte dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83 (convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n. 134) con la sostituzione del quinto motivo di ricorso in cassazione, che non è più quello di «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» bensì il vizio di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

Per la Corte la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come “riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014)”.

Nel caso specifico la motivazione della sentenza impugnata presentava per la Corte delle gravi anomalie argomentative integrando, dunque, un’ipotesi di «motivazione apparente» e ponendosi al di sotto del «minimo costituzionale». La CTR, difatti, richiamando taluni principi in tema di accertamento sintetico ex art. 38 d.P.R. n. 600/1973 – e cioè che il giudice tributario non ha il potere di privare di valore induttivo la disponibilità di beni indicatori di una determinata capacità contributiva e che l’Amministrazione finanziaria può presumere il reddito complessivo netto sulla base di una serie di indici di capacità contributiva fondata sui consumi, tra cui la spesa per incrementi patrimoniali come l’acquisto di autoveicoli – si era limitata a rilevare l’evidente scostamento tra il reddito dichiarato e quello accertabile ex art. 38. Ma per il Giudice di Legittimità tali considerazioni si palesano apodittiche, assertive, tautologiche, prive di specifico riferimento alle molteplici analitiche deduzioni formulate nel processo dal contribuente. Esse sono al più rappresentative del convincimento del giudice tributario di appello, senza tuttavia esplicitare il percorso argomentativo seguito per pervenire a tale convincimento, e realizzano, quindi, una tipica ipotesi di «motivazione apparente».