Emendabilità della dichiarazione: la Corte ricorda le regole. E ritiene le disposizioni del 2016 non retroattive.

In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata entro i termini di accertamento (di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973) qualora sia a favore dell’erario. Invece, ai sensi dell’articolo 2, comma 8 bis, D.P.R. n. 322 del 1998, viene finalizzata a emendare errori od omissioni in danno del contribuente, l’integrazione va fatta entro il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. Resta tuttavia la possibilità per il contribuente di chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria.

Questo il principio, (già affermato da Cass. SS.UU. 30 giugno 2016 n.13378), che viene ribadito nella sentenza 18 gennaio 2019 n. 1291 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bruschetta, Rel. Gori).

Viene poi esaminata la normativa più recente sul punto e in particolare l’art. 5 del d.l. 22 ottobre 2016 n.193, convertito con modificazioni nella legge 1 dicembre 2016 n. 225, con il quale sono stati riscritti il comma 8 e il comma 8 bis dell’art. 2 del DPR n. 322 del 1998. Il nuovo art.2 comma 8 bis recita: “L’eventuale credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalle dichiarazioni di cui al comma 8 può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Ferma restando in ogni caso l’applicabilità della disposizione di cui al primo periodo per i casi di correzione di errori contabili di competenza, nel caso in cui la dichiarazione oggetto di integrazione a favore sia presentata oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, il credito di cui al periodo precedente può essere utilizzato in compensazione, ai sensi del citato articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui e’ stata presentata la dichiarazione integrativa; in tal caso, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui e’ presentata la dichiarazione integrativa e’ indicato il credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalla dichiarazione integrativa. Resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilita’ di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria, determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito”.

Quindi il termine ristretto menzionato dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2016 non rileva più ai fini dell’utilizzo del credito da dichiarazioni integrative oltre tale limite. Ma secondo la Corte l’art. 5 è irretroattivo, in quanto norma avente natura sostanziale. Quindi non si applica ai giudizi in corso in quanto tali, ma solo a dichiarazioni integrabili con le nuove regole.