Prova di resistenza non necessaria per le norme interne sul contraddittorio endoprocedimentale preventivo.

La Sentenza 11 settembre 2019, n. 22644 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. Antezza) fornisce l’occasione per riparlare della principale norma interna sul contraddittorio preventivo, chiarendo un principio ormai consolidato.

Si tratta di precisare, infatti, che la cosiddetta «prova di resistenza», di cui si tratta per la prima volta nella sentenza delle Sezioni Unite del 9 dicembre 2015 n. 24823 e che deriva da quanto affermato dalla Corte UE nella sentenza “Kamino International Logistics”, deve essere circoscritta al caso di assenza di un’espressa previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio. Ovvero quando ci si rifà al principio contenuto nell’articolo 41 della Carta di Nizza.

Per le norme interne invece se la sanzione di nullità è prevista dalla Legge non c’è da operare lo “stress test” costituito dalla utilità o meno, ancorché solo potenziale, che avrebbe potuto avere il contraddittorio preventivo.

La Corte con riferimento alla norma statutaria sottolinea come l’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 effettua, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio già operata dal legislatore, attraverso la previsione espressa di una nullità per mancato rispetto del termine dilatorio che già, a monte, ingloba la «prova di resistenza», sia con riferimento ai tributi armonizzati che in ordine a quelli non armonizzati (non effettuando la norma alcuna distinzione in merito alle conseguenze sanzionatorie).

Sicché, anche per i tributi armonizzati, tra i quali, come nella specie, l’IVA, scatta in generale la prova di resistenza, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, solo nel caso di mancata previsione da parte della normativa interna della sanzione della nullità, invece prevista dal citato art. 12, comma 7, per l’ipotesi della violazione del termine dilatorio.

In realtà a ben vedere la sanzione di nullità non è esplicitata nella regola dello “Statuto”, almeno normativamente. Si prevede infatti che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dalla stesura del verbale di chiusura, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Ma non si chiariscono le conseguenze dell’emissione ante tempus. La sanzione di nullità è stata individuata per via giurisprudenziale, prima dalle Sezioni Unite nel 2013 (n. 18184) e poi confermata sempre dalle Sezioni Unite nella citata sentenza del 2015.